sabato 22 dicembre 2012

il popolo

{bargellini [in lizza per l'arte (delle esposizioni)]   Al popolo fu concessa la passeggera orgia del terrore; dopodichè conobbe una disciplina molto più dura di quella dei servi della gleba. Nel campo militare conobbe le delizie delle coscrizioni napoleoniche, in quello industriale, le delicatezze della fabbrica.   Non mancarono episodi di ribellione. pag 81}

mario perniola pagg. 24/27 
{[..] vecchi valori, ma in fondo che cosa importa? L'essenziale non è restaurare i vecchi valori (impresa comunque molto laboriosa), quanto sbarrare la strada ai fautori della società cognitiva, rifiutando ogni discorso sulle grandezze e sui valori e prospettando l'universo della comunicazione, cioè un mondo senza giudizi e senza prove legittime, nel quale i forti, dotati di poteri non specificati (e spesso non specificabili perché illegali), hanno subito la meglio sugli altri.
Ben pochi si accorgono che lo sfrenato vitalismo della contestazione è qualcosa di retrogrado e di reazionario rispetto al movimento stesso e che esso rappresenta un modo di bloccare dall'interno la rivoluzione intellettuale. Ancora peggio andrà negli anni successivi, specie nei paesi in cui, come in Italia, il vitalismo si sposa con l'oscurantismo e con il populismo. Tuttavia, trasformando i contestatori del Sessantotto in professori e i contestatori del Settantasette in giornalisti, la rivoluzione cognitiva è ricondotta nell' ambito della burocrazia e delle istituzioni: il vitalismo viene abbandonato alla deriva autodistruttiva del terrorismo e delle tossicomanie. 

Ma con l'Ottantanove, cioè col crollo della più forte burocrazia mondiale (l'Unione Sovietica), tutto ritorna in gioco. Si apre una nuova partita: lo sviluppo tecnologico (computer, internet, e-mailing, globalizzazione dell'informazione...) apre al potere intellettuale straordinarie possibilità di crescita, di studio, di conoscenza: la società postindustriale diventa realtà e la competenza acquista un valore economico autonomo sempre maggiore. Tutto ciò non avviene più come nel Sessantotto in nome di un'ideologia politica anticapitalistica, ma si presenta come nuova forma di capitale consapevolmente antagonista rispetto al capitale economico tradizionale. Quest'ultimo perciò è costretto a giocare la carta del vitalismo populistico: cosi contro la società cognitiva nasce il dispotismo comunicativo, cioè una strategia volta ad asservire non solo professori, scienziati e giornalisti, ma anche anche ogni sorta di intellettuali e di specialisti con pretese di legittimazione autonoma (magistrati, grands commis dell'amministrazione pubblica, direttori di strutture ospedaliere, economisti, esperti di qualsiasi tipo dotati di deontologia professionale).

Parte un grande attacco al professionalismo e a ogni sorta di mediazione autonoma che si frapponga tra i vecchi poteri riciclati e il pubblico (di cui appunto è un esempio, il cosiddetto spoil system, che letteralmente vuol dire sistema del saccheggio o della razzia, e indica quel malcostume che distribuisce le cariche direttive dell'amministrazione pubblica ai seguaci del partito vincente).


Tuttavia il dispotismo comunicativo non può fare a meno di una infinità di competenze professionali, scientifiche e burocratiche aggiornate e di standard elevato. E qui si trova in un'impasse che può risultargli fatale: tali competenze infatti nascono, si sviluppano e si rinnovano solo nell' autonomia e nella libertà. Il vitalismo del populismo comunicativo è perciò qualcosa di molto differente dal vitalismo romantico e da quello della contestazione: esso è piuttosto una manifestazione di falsa coscienza. È l'illusione che la contraddizione in cui resta invischiato non abbia alcun effetto, che i mediatori possano essere tutti asserviti, che il pubblico diventi sempre più ignorante e incapace di spirito critico, che le acrobazie e le incongruenze della comunicazione media siano recepite come manifestazioni della potenza e della fecondità creativa della vita.]}




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