Centinaia di migliaia
di giovani vivacchiano senza studiare e senza lavorare,
spogliati di ogni volontà. Quartieri dove passano i giorni e le
notti sono puro squallore, cemento e cocaina, centri commerciali e
miseria, nessun cinema,nessun teatro, nessuna libreria, niente; in
testa da quasi vent'anni i ragazzi hanno due o tre chiodi fissi,
piantati con crudeltà dalla cultura imperante: soldi, successo,
divertimento.
Tra loro si muovono sempre più numerosi gli immigrati, a volte operosi, e dunque meglio disposti a sobbarcarsi del poco lavoro disponibile, a volte sovreccitati dalle potenzialità offerte fintamente dal nostro mondo, e dunque sfacciati e aggressivi nella ricerca di un posticino al sole. Mescolate tutto questo, agitate, e la molotov è pronta.
Tra loro si muovono sempre più numerosi gli immigrati, a volte operosi, e dunque meglio disposti a sobbarcarsi del poco lavoro disponibile, a volte sovreccitati dalle potenzialità offerte fintamente dal nostro mondo, e dunque sfacciati e aggressivi nella ricerca di un posticino al sole. Mescolate tutto questo, agitate, e la molotov è pronta.
I
miei allievi hanno chiara solo una cosa: non vogliono ripetere la
vita dei loro nonni e dei loro genitori. Un'esistenza fatta di
sacrifici, mutui trentennali per la casetta, denti stretti, fatica
quotidiana, chiesa la domenica e sveglia alle sei del lunedì,
briciole e sangue, loro non la vogliono più.
Sono cresciuti tra mille garanzie di una felicità imminente, videoclip colorati e frenetici, show e risate e immagini goduriose su ogni canale, sulla strada illuminata che deve portare a una Terra Promessa, e indietro non ci vogliono tornare. Come gli albanesi, hanno visto che oltre il tempestoso ma breve braccio di mare c'è la Cuccagna, e di sicuro non si accontentano di niente di meno. Poi passano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e non accade niente. La strada sotto casa è ancora piena di buche e di fango, lo spacciatore all'angolo è sempre lì, la noia e la desolazione non si spostano di un metro, e allora nella testa cresce lo sconforto. La solitudine. Oppure la rabbia.
Sono cresciuti tra mille garanzie di una felicità imminente, videoclip colorati e frenetici, show e risate e immagini goduriose su ogni canale, sulla strada illuminata che deve portare a una Terra Promessa, e indietro non ci vogliono tornare. Come gli albanesi, hanno visto che oltre il tempestoso ma breve braccio di mare c'è la Cuccagna, e di sicuro non si accontentano di niente di meno. Poi passano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e non accade niente. La strada sotto casa è ancora piena di buche e di fango, lo spacciatore all'angolo è sempre lì, la noia e la desolazione non si spostano di un metro, e allora nella testa cresce lo sconforto. La solitudine. Oppure la rabbia.
Una
ragazza mi ha detto: «Professore, ha presente il fascio di luce che
d'improvviso avvolge l'Ospite d'onore e lo separa dal buio? Quella
chiazza bianca o gialla sul palcoscenico? Mi sono accorta che è
piccola. un cerchio minimo. Tutti non ci possiamo entrare, e neanche
parecchi. Li c'è posto per pochissimi. Per gli altri c'è il buio,
il niente, al massimo un posto in platea per applaudire chi ce l'ha
fatta e crepare d'invidia. A me non piace stare da una parte ad
applaudire gli altri. Oggi a nessuno piace. Ma non mi va nemmeno di
uscire dal teatro e mettermi a battere chiodi o sudare per due lire
come mio padre e mia madre. lo quella luce la voglio. lo li capisco
quelli che bruciano le macchine a Parigi. Loro la luce se la fanno da
soli, e il mondo li guarda, arrivano le telecamere e il buio non
c'è più, non c'è più questo schifo di vita». Forse ha
ragione la mia allieva, è una che sente come va il mondo meglio di
tanti sociologi. Forse le cose stanno proprio così. Una macchina che
brucia è già un faro, un vanto, un salto fuori dal nulla. Ormai
solo il successo libera dal senso di fallimento e di morte. Il
successo è la nostra corta eternità. La vita, con i suoi pesi e le
sue tribolazioni, non la vuole più nessuno.
E allora prepariamoci a spegnere i fuochi che abbiamo voluto accendere nella sterpaglia dell'esistenza, dopo tanti inviti ad ardere festosamente, prepariamo gli idranti.
E allora prepariamoci a spegnere i fuochi che abbiamo voluto accendere nella sterpaglia dell'esistenza, dopo tanti inviti ad ardere festosamente, prepariamo gli idranti.