L'idiozia
di Moravia in una critica minuziosamente azzeccata.
Peccato
che Sergio Saviane sia morto, a lui sì farei un monumento, sia come
giornalista che come critico.
Quando
ho cominciato a leggere questo libro su Moravia pensavo fosse una
biografia normale, un pò fantasiosa dell'autore, invece no! è
proprio un'accurata critica efferata e a mio avviso giustissima (ci
voleva porca puttana se ci voleva), su come Moravia procede per
banalità, narcisismo e luoghi comuni sui suoi romanzi, che tanto
elogio è nulla in confronto alle critiche che sparge Saviane, o
critiche, io direi accurate osservazioni. Moravia davvero, non
libri, ma chili di carta dove si sprecano gli specchi, azioni
patetiche: la noia, ma per davvero.
Quindi
visto che le mie parole contano molto poco, mi son presa la briga di
trascrivere alcuni passaggi di questo stupefacente libro.
Per
Moravia le cose inanimate rivestono sempre e indiscutibilmente un
ruolo di primissimo piano. Ecco allora che le camere da letto, le
tolette, i salotti, i saloni sfavillanti o le anguste camerette di
borgata, i bicchieri, i lumi, le chincaglierie, le cianfrusaglie o le
ceramiche antiche, i mobili ed i soprammobili assumono un'importanza
che via via si allarga, si espande, trabocca dalle pagine, avvolge e
seduce il lettore, lo conduce, a volte stordendolo, lungo tutta la
strada. Uno scendiletto, un vaso da notte, una ciotola, una candela,
una tazza, una bottiglia, una finestra, una posata, un un piatto
meglio se rotto, un qualsiasi oggetto, possibilmente di vetro o
cristallo, e, appunto uno specchio, diventano protagonisti ed i
fedeli "traduttori" delle trame più recondite, dei
sentimenti, delle sensazioni più o meno autentiche. Il lettore non
se ne accorge, ma alla fine Moravia ha compiuto il miracolo.
Che
questi oggetti, queste figure o questi sogni, a volte un po'
paralitici parlino una lingua o l'altra non ha molta importanza per
l'infaticabile produttore di virgole.
Parlando
del vetro nei romanzi di Moravia dagli Indifferenti agli ultimi
romanzi di questo narratore in prima persona, lo specchio è come il
meccano, dei ragazzi, da cui si può trarre ogni tipo di costruzione,
dalla gru al carro attrezzi di pronto soccorso a al rosso furgone dei
pompieri. Davanti allo specchio l'autore dà appuntamento alla madre
di lusso, al maturo figlio di papà troppo ricco, (c'è ancora il
figlio di papà), incompreso e tanto infelice, alla puttanella
precoce, all'intellettuale solitario, alla moglie vogliosa del
produttore.
Lo
specchio viene evocato perfino nei sogni, diventa il fulcro di ogni
vicenda. Dagli Indifferenti ad Agostino, dall'Amore coniugale, al
Disprezzo, alla Noia, fino ai Racconti, dai Romanzi brevi ai Racconti
romani, e poi fino ai Nuovi racconti romani (mamma mia, quanti
racconti), tonnellate di pagine fitte fitte, lo specchio è sempre
l'unico testimone, il freddo ragioniere chino sulla partita doppia e
sui bilanci della romanziera romanesca di Moravia.
Bisogna
proprio riconoscere che lavorare esclusivamente, come Io e lui, col
solo apporto di uno specchio, uno slip, una patta a cerniera, un
cesso e un organo umano, anche se ben dotato e lungimirante, è
fatica da Ercole specialmente per un autore che di solito trae la sua
inesauribile linfa dalla donna nei meandri più intimi e reconditi
della psiche e della fica trasteverina.
Sono
più di sessant'anni che l'infaticabile scrittore consulta specchi
per intercettare, come la sorellastra cattiva di Cenerentola, le
immagine che questo oggetto impenetrabile gli manda fermo posta della
sua sicura e garrula mano di narratore.
Giudicare
l'opera di Moravia escludendo come hanno fatto i critici, questo
oggetto così prezioso, e, si può dire, narrativamente prolifico,
sarebbe una grave responsibilità, che non ci sentiamo di
condividere con i suoi zelanti recensori. (...) di sa com'è denso
di significato un uccello contro lo specchio. E' chiaro che dunque
Moravia non sa e non vuole vedere i suoi personaggi se non riflessi
sugli specchi oppure attraverso quella specie di muraglia
invalicabile, ma trasparente che può essere un finestrino
d'automobile, un cristallo di Boemia, persino un bicchiere, una
lampadina, un lume, basta che sia a portata di mano.
(.....riferimenti di specchi e affinità vetraie nei suoi
romanzi) Pag 55
Siamo
nel 1944. Moravia ha già calpestato e frantumato i vetri e la
chincaglieria, gli specchi e i salvadanai di terracotta. (...) non ha
ancora avuto il coraggio di spaccare con un pugno il vetro leggero
che protegge in cornice la foto ricordo di Gabriele D'annunzio, ma si
sta avviando a grandi passi anche a questa operazione.
Passiamo ora, dopo aver ricordato il vetrume delle "Due
cortigiane" della "Romana" e della "Disubbidienza",
al reparto cristalli e vetri pregiati dell'Amore coniugale, che è
del 1949. la prima specchiera la troviamo a pag 9. Il protagonista
Baldeschi(...) presenta al lettore la bella moglie Leda, . Non ha
specchi a portata di mano, ma va a cercarne uno negli occhi di lei,
trasformando la pupilla in vetro. Lo specchio quindi non c'è ancora,
materialmente, ma in forma simbolica. L'importante è che sia un
oggetto..(...) ma è a pag 33 che l'intellettuale si mette in posa
davanti ad un vetro per spiegare la sua vera crisi, motivo dominate e
filo conduttore di tutto il romanzo. Qui abbiamo per la prima volta
la rivelazione che ci troviamo di fronte ad un uomo in panne
sentimentale e creativa. Una vera scoperta.
Moravia
deve avere appena letto L'uomo senza qualità di Musil e non vede
l'ora secondo le sue note abitudini di scippatore internazionale, di
travasare tutto in uno dei suoi romanzi pirla, o, se vogliamo usare
un linguaggio ironico da critico dotto e raffinato, uno dei suoi
romanzi di "ambizioni più sbagliate" Basta aprire a caso
un suo libro per finire nella casa di ricovero del sesso. (....) Non
si può prendere un disgraziato come il "Baldeschi"
dell'amore coniugale, mandarlo in giro a far soliloqui al vetro sul
sesso d'antiquariato, e poi presentarsi ai convegni delle femministe,
o andare in Unione Sovietica a parlare dell'attualità del romanzo
disimpegnato. (....) Sono le contraddizioni della letteratura
italiana. e' giusto quindi che uno scrittore che da mezzo secolo
manda in giro, i suoi personaggi a fare il tiro della fune con gli
uccelli più intronati del mediterraneo, venga candidato al premio
Nobel da una critica un po' mammona e segaiola, questo è vero, ma
molto sensibile ai richiami del sesso imbottigliato come il Barolo.