lunedì 7 maggio 2012

Accennando alla bellezza di figure



 Accennando alla bellezza di figure,
 non intendo significare ciò che comunemente si crederebbe:
 esseri viventi, per esempio, o immagini dipinte.
 Al contrario, parola accenna solamente 
 a linee particolari: la retta, la curva; così pure le superfici
 e i solidi che risultano dall’opera del tornio,
 o per mezzo di regoli e di squadre.


Elio Pagliarani, Esercizi platonici, Acquario 1985
LdiP_LABORATORIO DI POESIA

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results?
Alluding to the beauty of the figures,
I do not intend to mean what is commonly believe:
living beings, for example, or painted images.
On the contrary, the word refers only
in particular lines: the straight line, the curve, and likewise the surfaces
and solids that result from the work of the lathe,
or by means of regulating and of teams.


Elio Pagliarani, Exercises platonic, Aquarius 1985
LdiP_LABORATORIO OF POETRY

Dunque, Elio in doppia lettura, anzi in tripla, quadrupla, .. dei Dialoghi. Con Google, dio li abbia in gloria (God will rest her soul Dios descansará su alma Dio sarà la sua anima  etc).
Legge (1) il libro di traduzione (2) di Enrico, lo traduce in versi (3), legge in pubblico (4) e sceglie nella performance (5) dal suo libro.

Un luogo sinestetico dove “qualsiasi mezzo è buono per comunicare” [Giovanni Fontana, La Taverna di Auerbach, n.1, Alatri 1987, p.2. ] 

Prigioniero, almeno in parte, come avevo cominciato a sen-
tirmi, del mio verso lungo, sempre più lungo, della fisarmo-
nica spalancata — ho v0lut0 cercare di riacquistare facoltà di
articolazione più variegata (mi riferisco, per esempio, al pe-
dale sommesso dell’lnventario privato). Qui non ho fatto che
trascrivere e scandire il linguaggio colloquiale di Platone (del
Filebo, soprattutto ma anche delle Lettere e, nell’apertura
finale, del C0nvito, come è trasparente), quale è stato reso in
lingua italiana nella versi0ne e interpretazi0ne di Enrico
Turolla, quel patito di classe.
Esercizi Platonici, Elio Pagliarani, 1985 - [nota] p.256, Tutte le poesie, Mondadori, 2006 

I dialoghi di Platone - Il Timeo
[Eva Cantarella] sostenuta dalla grecista Eva Cantarella, raduna folle di spettatori recitando i versi di Omero in un teatro milanese. Le parole dei poeti e dei filosofi tornano a farsi ascoltare: non più lette in solitudine sulle pagine dei libri, ma declamate in pubblico, affidate a una voce viva. Per Cantarella la fruizione orale permette al pubblico di riscoprire le bellezze spesso insospettate della poesia antica (...) mio padre, invece delle favole, mi narrava le avventure di Ulisse. Di Cappuccetto rosso non ho mai saputo nulla: era la storia del Ciclope a farmi impazzire. La recitazione pubblica è anche il recupero di questa dimensione favolistica del testo omerico».



IL DONO DI PLATONE

L' ARTE della poesia consiste il più delle volte nel rendere enigmatico e sorprendente ciò che è altrimenti noto, o semplicemente nel renderlo diverso da come l' avevamo percepito fino a ieri. Supponevamo che nelle pieghe del grande dialettico Platone fossero nascosti affascinanti frammenti di poesie? Probabilmente, no. Dunque, Elio Pagliarani con i suoi Esercizi platonici (Acquario-La nuova Guanda, pagg. 86, lire 14.000) ci coglie piacevolmente di sorpresa: le venticinque poesie, brevi e anche brevissime, che compongono il libretto, sono passi e brandelli di Platone, soprattutto del Filebo, cavati dalla versione e interpretazione in bello stile italiano di Enrico Turolla. Che cosa vi ha messo di suo Pagliarani? Soltanto, lo ha dichiarato con una certa civetteria, tre parolette in altrettante poesie: oro, re, ora (le prime due con calcolato arbitrio). E suoi sono ovviamente la scelta, il taglio, il montaggio, insomma l' arrangiamento. La versione di Turolla, non c' è dubbio, ha ispirato l' operazione ironica e felice degli Esercizi. Con una traduzione più strettamente filologica e meno elegante, forse l' idea non avrebbe preso forza. Intendiamoci, l' arte di trasformare in poesia le materie verbali più refrattarie è antichissima: gli stessi filosofi greci, prima di arrivare alla prosa, hanno scritto le loro idee in versi (basta ricordare Parmenide). Ma si sa che Platone non era affatto tenero con la poesia, ritenendola un genere inferiore, propagatrice di falsità. L' arguzia, il gioco di Pagliarani risiede nella finzione di porgere come poesia alcuni momenti del discorso platonico tali e quali. Essendo minimi, gli arrangiamenti suonano maliziosi. Il senso degli Esercizi non si esaurisce però nel gusto implicito dell' ironia. Pagliarani ha scelto quei passi e brandelli, e li ha montati in quel modo, parlando così per procura. Dalla pacata saggezza di Platone tralucono curiosità, inquietudini, indeterminazioni attuali. Allora scopriamo che il libretto si presta, e quasi ci obbliga, a una duplice lettura. Nella prima incombe, piacevolmente abbiamo detto, la presenza spaesata di Platone. Abbiamo voglia di controllare, di riprendere in mano i testi del filosofo, ricercare il contesto che ovviamente comporta sensi assai diversi da quelli delle poesie. Ma ben presto questo lavorìo di confronti non c' interessa più. Vogliamo rileggere Esercizi platonici senza la tutela del grande Platone. Fin dal primo verso - "Perchè farlo soffrire con tante immagini?" - ci viene incontro l' uomo che siamo noi. La seconda lettura può rivelarsi appassionante: "Vedi, oblio è sparire di memoria. / Nel nostro caso, invece, il ricordo / non si è ancora formato. Ed è cosa assai strana / perdita di cosa che ancora non c' è e non è ancora avvenuta". Qui ci afferra uno sgomento, un avvertimento di futilità, come se la condizione dell' essere postmoderni si affacciasse la prima volta alla coscienza nella sua vacuità. I motivi platonici dell' impossibilità di una scienza del divenire, della inaffidabilità di tutte le "arti" ove se ne tolga ciò che procede dal misurare e pesare, dell' annaspare della mente sospinta dal desiderio di alcunchè, della natura complessa e sfuggente del "piacere", si fanno motivi del nostro comune sentimento di vivere, della nostra opacità spirituale. "Vedi un po' , è un fatto, l' ignoranza dei forti / ci appare ostile e odiosa; invece quella / di chi ignora ma è debole nello stesso tempo, / appartiene al tipo e alla natura delle cose ridicole". Queste parole le dice il Socrate del Filebo, le ha tradotte Turolla, le ha tagliate in versi Pagliarani, e primo le ha scritte Platone. Sono un dono della tradizione. Proprio come dichiara un altro frammento: "Ecco il dono secondo tradizione: / tutto ciò che diciamo essere / consta d' uno e di molti, e in sè contiene / un elemento determinante e una / indeterminazione". La mossa elegante e arguta di Pagliarani ha vivificato i tratti di un discorso che conduce i temi gravi con una intensa leggerezza colloquiale. Soltanto l' ultima poesia ci mostra finalmente un' immagine: il Socrate del Convito, che tirato a lucido s' avvia al pranzo di Agatone. Graziosa conclusione degli Esercizi platonici. Gentili ruderi disegnati da Ettore Sordini illustrano il libretto, consigliabile ai lettori lievemente pensosi in cerca di poesie illese da simbolismi privati.
di ALFREDO GIULIANI

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