"I fascicoli delle prove Invalsi compilati al termine delle prove sono una miniera di spunti che potrebbero essere utili nell’insegnamento della matematica. A mio parere andrebbero meglio studiati e discussi, sia tra colleghi di matematica sia con gli allievi. Purtroppo sembra che il maggiore interesse sia per i punteggi finali. Quanto ai fascicoli essi sono frettolosamente archiviati."
Condividere un documento, questo di Fabio Brunelli che ci porta in medias res nel lavoro delle classi di scuola media sulla matematica. Ebbene, mi chiedo, durante il mio zapping quotidiano sull'attualità,..
Fabio
Brunelli
Una
talpa scatenata
Riflettendo
sulle prove Invalsi di matematica per l’esame di licenza media del
giugno 2012
Fa
un certo effetto leggere i titoli dei maggiori quotidiani italiani
del 19 giugno scorso: “Medie, il test con 9 superdomande”, “I
quesiti (difficili) per scovare i più bravi”, “Invasi
da folli,
il web insorge e scoppia il caso Pittulongu”.
I
giornalisti sono persone a volte divertenti e simpatiche. Ma
sicuramente in questi casi hanno poco tempo per approfondire e
riflettere. La realtà è sempre più complicata. In internet poi si
crea facilmente un “onda”, un “effetto-traino” e nascono così
le “leggende metropolitane”.
Se
tentiamo di cercare la verità e, invece di leggere in rete cosa
hanno “twittato” i ragazzi, prendiamo in mano i fascicoli Invalsi
e proviamo anche a confrontare le varie valutazioni degli esami
(ammissione in matematica, prove scritte “interne” di matematica,
prove Invalsi di matematica, valutazioni globali in uscita) ci
accorgiamo subito, perlomeno questo è accaduto nella mia terza, che
questi numeri sono correlati positivamente. Le uniche anomalie sono i
punteggi alti delle prove Invalsi di alunni modesti che sono riuscito
a copiare.
Entriamo
nel merito prendendo ad esempio la famigerata “talpa” che si è
mangiata quasi tutta la mia classe. Ecco il quesito:
Fermiamoci
alla prima domanda per rispondere correttamente alla quale i ragazzi
avrebbero dovuto calcolare il volume di un cilindro:
3,40
* 3,40 * π * 10 = 115,6 π ~ 362,984.
La
risposta giusta è pertanto la “C”.
Dire
che è stata una “Caporetto” è poco: hanno indicato “C” solo
13 alunni su 27 (~ 48%). Tra essi ci sono alunni di tutti i livelli.
Durante gli orali ho fatto qualche intervista. Una ragazza brava mi
ha detto: “Le gallerie non hanno forma cilindrica, ma
semicilindrica, quindi per un po’ pensavo di dover dividere il
volume del cilindro per due”; un altro ragazzo pure bravino mi ha
detto: “Di solito nella misura del volume del cilindro c’è il π.
Tra le soluzioni proposte dal quesito il π mancava e questo mi ha
disorientato, per questo ho scelto 120 .
Riflettiamo
ancora brevemente sui deludenti risultati relativi al calcolo del
volume del cilindro. Quest’argomento è “trattatissimo” in
terza media e i ragazzi sono ben allenati a calcolare volumi dei più
strani solidi di rotazione. E allora? Cosa accade? Dobbiamo forse
registrare un “divario epistemologico” tra i cilindri della
prassi didattica e i cilindri dell’Invalsi?
Forse
la prassi scolastica è quella di partire da problemi in qualche modo
già “matematizzati”, dove è già esplicitata o ben descritta la
figura geometrica. Qui invece si tratta di leggere un brano in lingua
italiana e cercare una “modellizzazione geometrica” che possa
rispondere al problema. E noi cosa preferiamo per i nostri allievi?
Per i nostri figli? Per le nuove generazioni?
I fascicoli delle
prove Invalsi compilati al termine delle prove sono una miniera di
spunti che potrebbero essere utili nell’insegnamento della
matematica. A mio parere andrebbero meglio studiati e discussi, sia
tra colleghi di matematica sia con gli allievi. Purtroppo sembra che
il maggiore interesse sia per i punteggi finali. Quanto ai fascicoli
essi sono frettolosamente archiviati.
Ho l’impressione
che (sono docente-terminale e non ho nulla da perdere a tirami dietro
le antipatie di molti) gli insegnanti di matematica in Italia (e io
non mi chiamo fuori da questi) sono un po’ adagiati su una certa
tradizione didattica: “spiego bene la regola, ora fate tanti
esercizi”.
Gli allievi dal
canto loro sono abituati a una certa “frettolosità”; vogliono
capire subito quale formula applicare per risolvere il problema; non
hanno la pazienza di leggere, rileggere e riflettere sul testo di un
quesito. Pensare “fa fatica”, come dicono in Toscana!
Oggi tutto questo non basta più. La bozza delle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”, resa nota pochi giorni fa dal MIUR, parla di una matematica che contribuisce “alla formazione culturale delle persone e delle comunità, sviluppando le capacità di mettere in stretto rapporto il “pensare” e il “fare” e offrendo strumenti adatti a percepire, interpretare e collegare tra loro fenomeni naturali, concetti e artefatti costruiti dall’uomo, eventi quotidiani. In particolare, la matematica dà strumenti per la descrizione scientifica del mondo e per affrontare problemi utili nella vita quotidiana; contribuisce a sviluppare la capacità di comunicare e discutere, di argomentare in modo corretto, di comprendere i punti di vista e le argomentazioni degli altri.”
Mi pare che la
matematica richiesta oggi alla scuola sia più vicina alla “talpa
cattiva” che
non ai tradizionali esercizi cui i nostri allievi sono avvezzi.
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