1. Emma era un'artista e in quanto tale la sua è un'esperienza irripetibile, inscritta in una storia personale, e la lezione che se trae è che ad ogni persona è dato di provare ad essere irripetibile, ma solo pochi colgono questa opportunità fino in fondo. Per dirlo subito, mi sono sentito vicino alla sua scuola proprio perché capivo che il mio modo di farla, come il suo, era in qualche modo un'atto poetico ed un sereno azzardo dovuto eticamente all'umanità diseredata che approdava nelle aule senza alcuna protezione dall'istituzione stessa. Per lei erano i ragazzini sparuti del primo dopoguerra, affamati e straniti dall'orrore della guerra. Per me i figli dei lavoratori che nei feroci istituti tecnici e scientifici facevano disarmati le prime prove di benessere del sessantotto avanzato.Trovai conforto personale sbirciando nel suo libro di didattica e cominciò così la mia ispirazione all'arte di insegnare. Dieci anni ed era già tutto finito per me, Emma durava invece, e qualcosa questo dovrà pur significare, no?!
Domanda. Emma usava il registro dei voti? Procedeva a interrogatori trimestrali? Test: misurava l'apprendimento "scientificamente"? Le esposizioni di matematica erano buone per gli esami? Insomma, come si districava nelle gabbie burocratiche della cultura scolastica italica? Non è detto, si glissa 'elegantemente'.. ed io del resto non credetti utile indagare, essendo il suo prestigio ed il suo carisma così evidenti per cui la risposta era già nelle cose. Fu lei che spiritosamente fece cenno alla libertà d'insegnamento dovuta ad...assenza totale di ispezioni ministeriali.Emma è stata eccezionale, quell'ecceitá che ne ha segnato la non riproducibilità tecnica nella scuola di massa. La scuola dei grandi numeri, dell'accudimento pubblico andava da un'altra parte. Una scuola d'élite, suo malgrado. Pensiero di Stato d'altro canto non è dato in regimi liberali, se non de relato.La scuola ad un dato punto, italiana e di stato, si gonfiò come la rana pronta a scoppiare (da 40 anni .ndr) e costituì il ghetto nero in cui parcheggia l'indesiderato. Un milione di insegnanti! .. di Stato e l'infinito intrattenimento. Andiamo a incominciare.
[Pausa caffè] |
2. Andiamo a incominciare, dunque. Nel 1979 Emma puntuale va in pensione dal suo insegnamento alla scuola media Tasso di Roma. La si festeggia all'Accademia dei Lincei con un convegno monstre che portava alla Palazzina Corsini di fronte un gioiello nella forma di una Esposizione Matematica dei suoi studenti. Insegnavo in uno scientifico di provincia, andammo a vedere cosa succedesse, curiosi soprattutto della mostra, ovviamente. Atmosfera magica e bellissima, ricca e corposa. I miei studenti invasero letteralmente le sale degli stand dei lavori in mostra, non avevano istruzioni per l'uso e si muovevano con la curiosità del caso, prima tra tutto quella per i loro coetanei, ormai ex-allievi, disposti ad illustrare i lavori. Rasentammo il massacro tanto era intellettualistico e alto il metodo, tanto che i ragazzi faticavano a rispondere alle domande impertinenti dei miei studenti. I miei li presero garbatamente e puntualmente in giro. Emma era lì, mi dissero, non la conoscevo, e osservava. Senza scandalizzarsi s'incuriosì invece e chiese chi fossero i piccoli giovani barbari con le loro domande puntute. Mi rassicurai e capii che eravamo con Emma a casa nostra. Dalle prime esperienze, lungo trent'anni, si era arrivati a raffinare temi e modi per cui ormai le mostre di matematica si specializzavano e diventavano impraticabili fuori dall'ambito prezioso in cui si formavano. Gli studenti della base ampia di reclutamento come i miei erano giustamente scettici sulla praticabilità di questo "metodo" che noi avevamo presente tra gli altri (adottavamo i libri di Giovanni Prodi e consultavamo quelli di Villani e Spotorno, di Lucio Lombardo Radice, di Campedelli,...), lo scetticismo dei genitori e degli insegnanti era palesato ad ogni giro di esami. La dura realtà nostra, senza filtri culturali adeguati alla sfida, la difendavamo facendo rete con le sperimentazioni che il parlamento (udite! udite!) aveva appena finanziato per studiare la riforma della secondaria. Gli studenti più avvertiti non erano per questo dei patiti della materia, anzi tutt'altro, ma affascinati da una scuola di ricerca di metodo. Esistono in rete le loro voci, in quanto a fine anno registrammo le osservazioni sul lavoro fatto nelle classi, che io riportavo a colleghi radunati in iniziative di Prodi (Pisa) Spotorno (Liguria) Lombardo Radice (Assisi, Cittadella) e in convegni organizzati autonomamente dalla coda dei movimenti di insegnanti rifluenti dal sessantotto italiano.
In questo blog, se volete, si intravedono per merito di Fabio Brunelli decine di insegnanti che si rifanno ad Emma Castelnuovo a Cenci Officina Matematica 2011
09/set/2011 | foto: 304
Non è il racconto agiografico di ciò che so di Emma Castelnuovo, o uno studio dotto dei suoi lavori, quantomeno una via regia alla matematica che Emma avrebbe tracciato. Seguiamo i libri.
Emma Intuitiva, 1944 | 1948
Non è il racconto agiografico di ciò che so di Emma Castelnuovo, o uno studio dotto dei suoi lavori, quantomeno una via regia alla matematica che Emma avrebbe tracciato. Seguiamo i libri.
Emma Intuitiva, 1944 | 1948
(..) l'anno precedente, risolvendo gli esercizi piú complessi riguardanti i singoli capitoli, si può svolgere il capitolo della similitudine, ed, eventualmente, quello del cerchio. Nel III anno infine, dopo aver trattato il capitolo del cerchio — se non si è svolto in II anno, — si studia la geometria solida. In tal modo i corsi che si tengono anno per anno soddisfano pienamente alle esigenze dei programmi ministeriali. Siccome ritengo che in un corso inferiore di matematica abbia parte predominante la risoluzione degli esercizi, ne ho raccolto un numero abbastanza grande, e spero che questi possano interessare gli allievi, facendo fermare la loro attenzione su problemi della tecnica, della natura, della vita in generale e su questioni che toccano, sem-pre da un punto di vista elementare, concetti fondamentali della matematica moderna.
* * *
Il libro segue dunque un indirizzo storico, quindi costruttivo, non descrittivo. Si è voluto far partecipi gli allievi degli sforzi compiuti dall'umanità nella ricerca matematica, della gioia della scoperta, e si è pensato che nessun modo fosse piú espressivo ed efficace di quello percorso dall'umanità stessa. È difficile ricordare tutti coloro che mi diedero utili suggerimenti nella compilazione del testo e degli esercizi e nella ricerca non facile di alcune riproduzioni : si può dire che vanno dal mondo dei matematici a quello dei semplici tecnici, dal mondo degli artisti a quello dei montanari, e sono a tutti profondamente grata. Ma desidero ringraziare in particolar modo i miei allievi della Scuola Media Tasso in Roma, del periodo 1944-'48, che, pur non sapendo di essere e cavie da esperimento », si offrirono con entusiasmo nel procurarmi esercizi, esempi, idee. Ringrazio anche i frequentatori delle riunioni dell'Istituto Romano di Cultura Matematica per le critiche e i consigli datimi in questi ultimi anni durante le vivacissime discussioni dei « sabati romani » ; e sarò ora particolarmente grata ai colleghi e a tutti i lettori che vorranno esprimere le loro idee su questo indirizzo didattico. Ringrazio infine la Casa Editrice R. Carabba per la cura che ha avuto nella composizione del testo.
Giugno 1948
EMMA CASTELNUOVO
nota. Nel marzo 1946 ho tenuto appunto presso l'Istituto Romano di Cultura Matematica una conferenza Sull'insegnamento della geometria intui-tiva ; tale conferenza si trova pubblicata sul e Periodico di Matematiche e, 1946, n. 3.
X
I numeri. Aritmetica pratica, 1961 | 1964
CARI RAGAZZI
questa prefazione è per voi. Lo so, in generale le prefazioni non sono scritte per i ragazzi, e, spesso, sono più difficili a capire dell'intero testo. Ma in questo caso voglio sperare di farmi leggere da voi e anche di farmi capire. Alla Scuola elementare avete studiato l'aritmetica: avete imparato ad eseguire le operazioni coi numeri interi e coi numeri decimali, e avete anche risolto molti problemi. Alcuni di voi, se potessero parlarmi, mi direbbero che erano bravi in aritmetica; altri, invece, confessereb-bero che spesso capitava loro di essere incerti su qualche operazione, e che, il più delle volte, dopo che era stato dettato un problema, non capivano quali regole si dovessero applicare per risolverlo. «E ora —mi diranno — ancora un'altra aritmetica? ancora degli anni da passare sui numeri? e altri problemi ancora? ». So che vi riesce faticoso leggere, e soprattutto leggere un libro sui numeri, ma promettetemi 'una cosa: ancor prima che comincino le lezioni di matematica, provate a leggere le prime pagine di ogni capitolo. Leggetele quando avete un momento di tempo, quando siete stanchi o annoiati, quando siete preoccupati di entrare in una nuova scuola, con nuovi professori, con nuovi compagni; leggetele, quando vi sentite un po' soli. Se, dopo averle lette, doveste rispondere alla domanda « le avete capite? » sono sicura che rispondereste di si, ma sono anche sicura che tutti voi mi direste: « questa, però, non è aritmetica; in quelle pagine non ci sono problemi difficili da risolvere ». Ma — riflettete — in quelle pagine sono stati toccati i piú gravi problemi che la realtà abbia mai proposto all'uomo; sono questi i veri problemi sui numeri che l'umanità, ha faticosamente affrontato nel corso dei secoli per poter risolvere quelle questioni che la tecnica, il commercio, l'industria, la natura stessa imponeva giornalmente; sono problemi che ne aprono sempre di nuovi, di veri, di reali. Vedrete che voi stessi sarete condotti a porvi delle questioni, a pensare degli altri problemi; e il pensare un problema, il porsi delle questioni e dei perché è ancor piú difficile che saperli risolvere, ed è più, bello. È in questo che consiste la matematica. È quanto ho cercato di farvi capire nelle pagine del libro. Leggetelo: è stato scritto per voi.
Roma, giugno 1981
EMMA CASTELNUOVO
No, non si tratta evidentemente di un'espediente retorico, i ragazzi hanno partecipato dall'inizio alla didattica e ne sono i testimoni e i destinatari al momento della sua diffusione.
ed eccoci dunque ad un passo decisivo, l'edizione del testo del 1978, al momento di lasciare la scuola e cominciare il periodo non meno fecondo dei viaggi e degli incontri dei quali la scuola del Niger è una perla rara.
La Nuova Italia promuoveva questo testo con la sua rete di rappresentanti e di vendita ben oltre le logiche ordinarie di editoria scolastica. I numeri e La geometria erano un punto alto della didattica della matematica, ma non funzionavano, mi diceva un coltissimo venditore dell'editrice: troppo impegnativo per il profilo culturale molto basso degli insegnanti di matematica, prima che degli studenti. Paradossalmente la loro semplicità e immediatezza, la'assoluta comprensibilità erano un pugno nello stomaco alla pancia della tiritera ordinaria del mondo dei travet della matematica scolastica. Era come dismettere la messa in Latino. Inserii i due libri in più copie nelle biblioteche di classe delle sezioni di scuola superiore e furono gli agenti di recupero per molti molti studenti che i testi ordinari avevano allontanato dallo studio. Fin quando uscirono i testi equivalenti per le scuole superiori che però furono un passo a lato per così dire, una normalizzazione, dignitosa fin che si vuole, ma pur sempre una dichiarazione di sconfitta.
Ci incontrammo nello shopping domenicale vicino casa sua e ne parlammo, mi congratulai della recente uscita degli ultimi tomi, ma lei scoprì facilmente la mia piaggeria. Sapeva che io consideravo i suoi libri del 1978 dei buoni libri perchè non sembravano dei libri di matematica, non perchè lo fossero in modo inattaccabile dai precettori del rigore disciplinare. Il danno tremendo che si fa agli studenti è proprio quello indotto da una disciplinareità precocissima e di finto rigore sistemico.
3. A scuola e oltre, una matematica da appestati da isolare nel suo stazzo a ruminar biade, i calcoli. La matematica della Castelnuovo si legge e si scrive, attenti! Filosofemi, sofismi, 'parole'!
Editor: IMMAGINAZIONE E RICERCA SCIENTIFICA Giogio Celli, La scienza del comico, 1982
Gli scienziati, qualcuno ha scritto, che nel furore di apparire « oggettivi », « asettici » e « sperimentali », affermano di non avere alcuna filosofia, per solito ce l'hanno, ma è stupida. Si tratta, quasi sempre, di un ingenuo realismo. Lo stesso si verifica per quel delicato settore di autoriflessione delIa scienza sui suoi metodi, e sui suoi processi, che è l'epistemologia. Spesso gli scienziati ostentano una non riflessione radicale suI che cosa sia, per loro, fare ricerca, ma, solIecitati e messi alIe strette, mobilitano, con sussiego, il vecchio aforisma che fa coincidere l'essenza delI'operare scientifico con l'osservazione. Il ricercatore sarebbe dunque, il testimone, l'iperocchio, o, nelIa sperimentazione, il provocatore indiscriminato, delI'universo. In questa prospettiva, è fatale, si assiste a una progressiva, e irreversibile, riduzione di competenza delIa mente, che, sempre più erosa nelIe sue facoltà, e nei suoi poteri, diventa quasi l'alIegoria di una fanciulIa un po' pazzerella, di una Bovary proclive al delirio e alI'evasione, che lo scienziato, mentore e marito metaforico, deve costantemente correggere, limitare, ricondurre alI'ordine, mediante una strenua ascesi di concretezza. Evidentemente, questa concezione delIa scienza comporta alcuni inevitabili corolIari, tra i quali, il più immediato, e la teorizzazione delIa fantasia come dannosa all'operare scientifico, e, da proposizione sillogismo, dell'arte come attività assolutamente «diversa» dalIa scienza.
Artista e scienziato abiterebbero due differenti empirei, dove ciascuno avrebbe potenziato, e portato alIa «massa critica », facolta antinomiche delIa mente, che per l'uno puntano sulI'immaginazione e sulI'emozione, e per l'altro, frequentatore di algoritmi e di diagrammi, sull'astrazione e sull'osservazione. Spesso, peregrinando per i laboratori alla ricerca di qualche introvabile rivista, abbiamo incontrato un ricercatore in camice bianco abbagliante, con gli occhiali cerchiati di tartaruga, che ci ha detto, con la bocca volitiva piegata in una smorfia di satanica superiorità: « Io non ho fantasia! ». Sarebbe errato, per il profano, scambiare questa affermazione per' la confessione di un limite; al contrario: essae di autoesaltazione e di autoconferma di piena idoneità scientifica. Altre massime costellano le pareti dei templi della scienza, a riprova di questa diffusa vocazione empirista; per esempio: che fare? fare!; oppure: non pensare: lavora!; o, in chiave più faceta, e chiamando in causa la saggezza popolare dei proverbi: meglio un fatto oggi che una teoria domani!; O infine, come epigrafe destinata alla' comunita scientifica dei .posteri: fatti! fatti! e soltanto fatti!In realta l'epistemologia del novecento, quella, per esempio, di Popper o di Medawar, ha da tempo minato alle radici questa concezione di marca, a un tempo, positivista e idealista. Una volta Karl R. Popper, volle fare al riguardo un esperimento didattico destinato a rimanere celebre. Dopo avere spiegato ai suoi studenti che fare ricerca significa osservare, li sollecita ad applicare il modello entrando in. « fase operativa». « Osservate, osservate!» supponiamo perorasse al suo stupefatto uditorio. Finchè uno dei suoi discepoli - e giuratelo pure: il meno conformista -, gli chiese, dopo aver manifestato disagio e perplessità: « Osservare? D'accordo! Ma che cosa? ». La domanda è di ordine squisitamente epistemologico. Nessuno puo trovare nulla, se non ha « deciso prima» che cosa cercare. Immaginatevi al centro di un bel prato a primavera. Che cosa osservare? Il colore delle nuvole? La posizione del sole? Il caleidoscopio cromatico infinitamente mutevole dei fiori? Un'ape che si posa sulla fiamma all'ultravioletto di un papavero? L'inventario del mondo e una utopia simile a quellibro totale di cui ci ha parlato Stephan Mallarme. Il mondo, nella sua interezza, e una Sfinge muta e impenetrabiIe. Bisogna, per farlo parlare, « ridurlo », farne uno scheletro, filtrarlo attraverso una teoria, una ipotesi. La scoperta scientifica è la verifica di una invenzione originaria, è una intuizione « fortunata ». La logica della scoperta non è, quindi, aristotelica, e tanto meno riconducibile alle norme di una psicologia associazionista. In principio, nella mente, c'è sempre una « fantasticheria », al cui formarsi concorrono la cultura dell'epoca, lo stato della disciplina, l'immaginazione e la psicologia, quindi la personalità, del ricercatore, le informazioni e le strumentazioni disponibili - noti i rapporti tra strumento e teoria -, l'intervento del caso, i suggerimenti e le censure dell'inconscio, che promuove « blocchi» - Vesalio, il grande anatomista, « vide» malissimo gli organi genitali femminili - o che « manda sogni di veggenza ».Si sa, infatti, a riprova della somiglianza fondamentale tra fare arte e fare scienza, che il sogno e spesso il «suggeritore occulto», I'eminenza grigia della scoperta. Henri Poincarè trove la soluzione di un « problema matematico » che I'assillava - stabilire l'esistenza di una classe di funzioni fuchiane, que lIe che derivano dalIa serie ipergeometrica - nel corso di una « reverie» notturna, e Kekule vide la sua teoria strutturale in un dormiveglia, mentre la carrozza lo portava a un appuntamento, sotto forma di una « danza di atomi ». E a chi obietta che la matematica puo forse utilizzare il « salto intuitivo » in quanto non si sa bene, tra iI serio e il faceto, se « scopra» o se « inventi », ricordiamo il caso del fisiologo Loewi che sogno l' esperienza - porre due cuori di rana in diversi recipienti a liquido comunicante e stimolarne uno - che gli permise di dimostrare l'intervento di un mediatore sinaptico umorale nella trasmissione nervosa. Bergson consiglia, a chi vuol capire una filosofia, di cercare lo schema dinamico che le sta dietro; in linguaggio teatrale diremmo il «sottotesto». Anche ogni teoria scientifica nasconde una immagine, simile a quell a statua che, come gli scultori, con diversa consapevolezza metaforica, hanno spesso detto, sta sepolta nel blocco di marmo e che lo scalpello deve liberare e conquistare al mondo degli uomini. I prigioni di Michelangelo, questi abbozzi immani, abitano per I'appunto la inafferrabile, e greve, zona di transizione tra il veduto e il pensato, quel luogo di permutazione tra mente e marmo, dove si manifesta il lavoro « concreto » dell'immaginazione. Per chiarire ulteriormente il nostro pensiero ai sostenitori della teoria che la logica piu ferrea, e imperativa, presiederebbe all'opus scientifico, vogliamo consigliare la lettura del libro «La doppia elica», in cui Watson racconta come scopo la struttura del DNA, la « stamperia» cellulare dei caratteri ereditari. A un certo punto, Watson si trova davanti a tre possibilita: una cristallografa, Rosalind Franklin, sostiene che la struttura del DNA non è elicoidale; Linus Pauling, premio Nobel per la chimica, pensa che sia elicoidale, e formato da tre catene; Watson propende per !'idea che le catene siano invece due. Vediamo perche egli decide di battere la via, « giusta », di quest'ultima ipotesi: « E mentre il treno sferragliava verso Cambridge mi sforzavo di scegliere tra il modello a doppia o a tripla catena... Quando scavalcai il cancello posteriore del college avevo ormai deciso: avrei costruito un modello a due catene ». Subito dopo ci dice la ragione: « i soggetti biologici importanti si presentano in coppie ». Questa motivazione non è di ordine scientifico, ma ideologico. Non e neppure una deduzione, e una convinzione. Il biologico non 'e necessariamente duale. Le valenze del carbonio sono quattro, i « morfemi » del codice genetico sono « triplette », le proteine sono sostanze quaternarie, gli amminoacidi sono venti. Privilegiare la dualità significa fare una scelta mistica. Watson non si conforma al risultato di una operazione logica, resta come abbagliato da una immagine inconscia. Forse perche in quel periodo egli si era occupato della sessualità dei batteri? Obbediva, forse, alIa persuasione profonda di una analogia? Una coppia di batteri, una coppia di catene: relazione tanto illogica quanto, nel suo caso, « vincente ». O forse, in chiave junghiana, Watson ha incontrato, quella notte, il riverbero solare di un archetipo: la dualità re/regina degli antichi alchimisti?
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