venerdì 23 ottobre 2015

E allora?


I.
LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
Debbo cominciare con una confessione. Ricordate, lettori, al tempo della dichiarazione della guerra del 1914 e nei lunghi anni della sua durata qual fremito di pietà e di orrore ci ha tutti assaliti? Pietà per tanti innocenti spenti nel fior della vita, orrore di tutto il sangue versato, dell'immenso carnaio su cui volteggiavano i corvi, degli ospedali ove rantolavano tanti giovani poco prima ancor pieni di speranza, dei fuggitivi, degli esiliati, degli affamati, della torma dei disperati che coprivano l'Europa, sin dove poteva estendersi lo sguardo e anche al di là! Parve, allora, che una morsa ci stritolasse il petto, che una tenaglia ci serrasse la fronte: e noi piegammo, crudamente, sull'abisso della sofferenza e piangemmo, impotenti vinti.... Ma fu un attimo: ed ecco con uno slancio tornammo in noi, ci rialzammo, riguardammo in faccia la realtà brutale, rodendoci il cuore di essere rimasti immobili e inutili. E raddoppiammo le nostre energie e organizzammo soccorsi e lavorammo dì e notte per lenire le sofferenze dei prigionieri di guerra o dei bisognosi smarriti nella tormenta o per confezionare in fretta abiti. per
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i bimbi indigenti. Erano milioni e milioni di creature da sostenere, da circondare di cure, da raccogliere! Ma nondimeno, ad onta del diversivo del lavoro accanito, continuava a pesare su di noi l'indicibile sentimento di orrore: era come un incubo dal quale non riuscivamo a liberarci. E avremmo voluto risvegliarci, scuoterci, avremmo voluto poter trarre un lungo sospiro di sollievo nella certezza che tutto non era stato che un sogno, ma invano! La miseria universale era là che si affermava e s'imponeva. Tutti quegli esseri giovani e forti che avevamo visti cinque, dieci, venti anni prima giocare, correre, ridere e cantare spensieratamente erano ora stretti nella lotta senza misericordia o piombati nel fango e nella miseria. Per questo le madri li avevano messi al mondo? Per questo li avevano cullati e vezzeggiati? Per vederli gettati in faccia al Moloch della guerra dunque esse li avevano nutriti giorno per giorno, li avevano lavati e vestiti, avevano loro sorriso, avevan teso le braccia ai loro primi passi barcollanti? Per questo essi, più tardi, avevano appreso alla scuola tante cose complicate, così restie, a entrare nei piccoli cervelli ribelli? Madri, o madri che avete lavorato e penato, che avete conosciuto la gioia e l'affanno, che avete pianto e riso a vicenda e aspramente lottato per il pane quotidiano e che portando e serrando i vostri piccoli nelle braccia poteste credervi un istante le donne più fortunate del mondo; o madri, io m'inchino davanti al vostro dolore e piango con voi e mi dispero con voi. La vostra lotta contro la guerra e l'ingiustizia universale sarà la mia lotta di ogni momento: ve lo giuro.
Lettori, vi ho detto che vi avrei fatta una confessione. Eccola. Assai prima della guerra io ho provato l'identico fremito di spavento e di pietà.
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Assai prima della strage dei corpi io ho assistito ad un'altra strage, la strage delle anime. Molti attorno a me parevano non avvedersene; qualcuno ne aveva il presentimento; ben pochi hanno scandagliato sino al fondo l'abisso d'ignoranza e d'incomprensione che l'hanno resa possibile. Codesta strage degl'innocenti, voi l'avete indovinato, è quella che, di giorno in giorno, perpetrava la scuola; è la stessa, che, senza averne sentore o avendone ben poco, compivano e compiono tuttora i maestri. Con la coscienza e lo zelo di fedeli operai, con pazienza e con accanimento essi mutilavano, e mutilano ancora, le anime dei fanciulli.
Sistematicamente, spietatamente, con l'ausilio dello Stato e della società, sotto gli occhi dei genitori e di tutte le buone persone che ci attorniano, la scuola prosegue la sua opera di uccisione degli spiriti. E di ciò, o madri in gramaglie, io fremo forse più che non della grande e odiosa carneficina della guerra. Esagero?
Considerate piuttosto: la guerra tronca vite umane, ma alcune languono poi si spengono, altre si drizzano ancor su, qualcuna scampa. E il tempo continua medesimamente l'opera sua: già ondeggiano i giunchi sulle buche scavate dagli obici e rinverdiscono i campi straziati dalla mitraglia e i fili di ferro spinati arrugginiscono e si riducono in polvere. Ma la scuola? Non sono soltanto cinque o dieci le vittime ch'essa colpisce ma tutte o quasi tutte. Tutte le alloggia, le domina, le piega. Di tutte s'impossessa per mesi e per anni. Dove regnava la gioia della vita essa chiama il tormento; dove trillava la gaiezza essa impone la gravità; in luogo del movimento spontaneo esige l'immobilità, in luogo dei gridi e dei sorrisi il silenzio. E così pretende si faccia allo scopo di foggiare uomini e donne degni di tal nome. Via! che è necessario nella vita? la sapienza o la ...
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volontà? la sapienza senza la volontà o la volontà indomita che si crea il suo sapere a viva forza, quando e dove bisogna? Io dico: la volontà innanzi tutto. Finchè vi è la volontà date del sapere; a tale condizione non è mai troppo; ma se voi ne date un granello più del necessario e la volontà invece di coadiuvare si ribella, se voi la forzate, è finita: il fanciullo si stacca da voi, dalle vostre parole, persino dal vostro amore; si allontana senza ritorno ai tesori che voi volevate mettere a sua disposizione e di cui contavate farlo profittare. Oppure, ciò che è peggio, egli, sì, si sottomette, è consenziente, par tutto preso, par voglia abdicare ad ogni autonomia. Non illudetevi: lentamente, ma segretamente, la sua natura si sdoppia: voi credete avere sotto gli occhi un fanciullo e voi ne avete due; uno docile, ossequiente, umile che non è che una apparenza, un sembiante, un'immagine ipocrita; l'altro invisibile che vi sfugge, che vive la sua vita, sul quale voi non avete influenza alcuna, che si alleva da sè, dove e come può. E il giorno ch'ei vi lascia per sempre, e si chiude la porta della scuola, che nasconde ai suoi genitori tutto ciò che ha fatto o detto giocando, lo scolaro saggio è sparito; solo resta e solo se ne va per il mondo, con suo rischio e pericolo, l'altro: l'indocile, il ribelle, l'impulsivo, l'ineducato, il selvaggio. Egli sarà ciò che l'ha fatto la natura: buono o malvagio, onesto o furfante, serio o pazzo. L'eredità e l'istinto lo guideranno, non voi. Perchè è inutile che vi vantiate, o vi rammarichiate se prende una cattiva piega; non siete voi che l'avete formato; tutto al più lo avrete deformato. Famiglia o scuola, sovvenzionate o no dallo Stato o dalla Chiesa, ecco il risultato sociale della vostra misconoscenza della ragione e della salute. La scienza psicologica vi insegna quali sono le leggi della natura sana; voi le ignorate, voi le calpestate; voi fate bancarotta.
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Sono ingiusto? Non dico che il vero. So bene: voi pretendete educare la ragione e predicare la salute: voi siete convinti di formare la volontà perchè domate le na-ture ribelli, perchè domate i capricci. Sono i fanciulli che si vincono da sè o siete voi che li avete obbligati con le vostre punizioni e con le vostre minacce? E quand'anco voi foste riusciti a formare qualche piccolo essere buono come un santino — e che resta tale — siete voi sicuri che codesta forma della volontà, forma tutta negativa, sia la vera? La vita non è forse per coloro che hanno una volontà positiva, conquistatrice, che si effonde in azione e si spande in energia, con un lampo nello sguardo e i polmoni dilatati per lo sforzo giocondo? Sono ingiusto? Io non accuso nessuno. Anzi, so bene quali tesori di bontà e di pazienza son racchiusi nel cuore di migliaia di educatori e so l'abnegazione dei padri e il sacrificio delle madri. Quante ne ho conosciute che venivano a chiedermi:     "Come fare? Io dò ai miei piccini il mio tempo, la mia pena, la mia giornata, le mie notti, ogni mia forza, ogni mia speranza. Ma i miei piccini vivono la loro vita, s'impennano davanti alle minacce, oppongono la loro ragione alla nostra. Non comprendono che è per il loro bene. Che fare? Se imponiamo la nostra volontà è una lotta di tutti i giorni; se cediamo è peggio: divengono sfacciati e sragionano a tutto spiano ". Ecco ciò che mi hanno detto padri, madri, educatori. Ad essi tutti io ho risposto ciò che credeva giusto e vero. Ho risposto che a nulla giova in verità mortificare, imporre, forzare, ragionare e punire. Quasi sempre a codesti tentativi contro natura risponde l'insuccesso. D'altra parte cedere ai capricci è certamente il partito peggiore. E allora? 


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