lunedì 4 maggio 2015

Vitalità del Negativo

Eugene Ionesco
Correva l'anno 2015..."il giovane Mattia non è un pirla" lo studente che giustificava gli scontri di Milano (cronaca/15_maggio_02)
Correva l'anno 1968...Vitalità del Negativo un'Italia appena uscita dal boom, attraversata, come il resto del mondo, da fremiti rivoluzionari

Fb: Ma non è vero ch'è un pirla Mattia, se vuole menare le mani, e non sa perchè; er papà si capisce, ma è lui uno sprovveduto ed il povero figlio nei vent'anni precedenti non ha avuto in lui un riferimento per capire cosa sia il "negativo" e il fondo oscuro su cui prende corpo la vita. Ha visto solo la stampa, non l'impronta dalla celluloide.
E quando il corpo spinge, non c'è scampo, vince o s'inabissa fremente. Vitalità del Negativo fu per me la prima scoperta della forma..http://www.repubblica.it/…/con…/confessioni/confessioni.html
ed ecco che se tutto è edificante non si può costruire nulla: dico per i miei 25 lettori papale-papale che la fatica quotidiana di esistere in "positivo", il vedere la propria immagine fissarsi sulla carta fotografica dal bagno degli acidi (nel digitale è lo stesso), non può dimenticare la morsa corrosiva da cui si emerge.



ARTE - SAGGI

Confessioni di una collezionista

Pubblichiamo per gentile concessione dell'editore l'intervista di Paolo Vagheggi a Graziella Lonardi Buontempo pubblicato nel catalogo dell'Accademia di Francia edito in occasione della mostra di Villa Medici


Correva l'anno 1968... E in Italia crollarono miti e certezze. In ogni campo. Ma fu proprio in quell'anno che cominciò la grande avventura degli Incontri internazionali d'arte di Roma destinati a segnare, e non poco, il cammino della contemporaneità.

In un'Italia appena uscita dal boom, attraversata, come il resto del mondo, da fremiti rivoluzionari - era il tempo della Primavera di Praga e del Maggio parigino - e da rivoluzioni tecnologiche - l'Apollo 8 orbitava intorno alla Luna e l'anno successivo l'uomo mise piede nel Mare della Tranquillità - quella degli Incontri è la storia di un sogno che diventa realtà.

Fu nel 1968 che arrivò a Roma Graziella Lonardi Buontempo. Il suo non fu un lungo viaggio. Lasciò Napoli e Capri, l'isola di cui era regina. Era la più bella. Occhi verdi, capelli neri, corpo snello. Per lei Ricciardi e Cesareo avevano scritto Luna Caprese. Ma la vita della gioventù dorata non la soddisfaceva. Narrano le cronache che mostrava un'autentica passione per gli artisti e le cose d'arte. Cosa assai singolare per l'epoca. Ci fu una rottura. Abbandonò la capitale dei Borboni, l'isola, si separò dal marito e sbarcò nella capitale...

LA FONDAZIONE

Racconta Graziella Lonardi Buontempo: "Cambiai completamente, radicalmente, la mia vita. Fino ad allora ero una ragazza. Diventai una donna. Per un anno mi sono guardata intorno. Ero una collezionista, senza grandissimi mezzi ma Roma, per il contemporaneo, era allora una meta come Parigi. Visitavo le gallerie, incontravo gli artisti. Trovai una vitalità differente da quella napoletana. Napoli ha sua una vitalità naturale. A Roma scoprì quella degli artisti, dei giovani italiani come Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, di giovani stranieri a quel tempo poco noti come Rauschenberg o Twombly. Dopo un anno, nel 1969, decisi di far qualcosa in cui essere profondamente coinvolta. Non avevo alle spalle studi specialistici. Ma avevo, ho ancor oggi, una grande amore per l'arte. Pensai di aiutare gli artisti..."

Come fu accolta questa sua idea?
"Quando cominciai a parlarne con Giulio Carlo Argan, Maurizio Calvesi, Alberto Boatto, trovai un grande scetticismo. Per loro, ma non lo dicevano, era il capriccio di una bella donna. Gli artisti, i critici a me vicini, Paolo Scheggi, Piero Sartogo, Achille Bonito Oliva, Gino Marotta, Fabio Mauri, non la pensavano troppo diversamente. Andai a Montepulciano a vedere una meravigliosa mostra dal titolo Amore mio, che era curata da Bonito Oliva. Erano tutti lì, gli artisti, i critici, e cominciarono a lanciarmi delle sfide: ma cosa vuoi, cosa vuoi fare... Erano carichi di ironia a causa di un precedente tentativo. Inizialmente ci fu Capri. Avevo fondato l'Associazione amici di Capri , volevo una mostra nella Certosa. Invitai tutti nell'isola. E fu un disastro. Gino Marotta, che non sapeva nuotare, cominciò a sentirsi male in vaporetto. La piazzetta era occupata da un festival della canzone napoletana. Si possono immaginare le reazioni di artisti e critici, tutti sessantottini, tutti politicamente impegnati... Mi giudicarono mediocre, almeno credo... La mia prima battaglia fu una sconfitta. Ma fu allora il momento dell'idea di un'associazione culturale. Nel mio pensiero germogliavano gli Incontri, una mostra. Non mi credevano..."

Le signore al massimo potevano aprire una boutique...
"Non era sicuramente il mio sogno. Con il mio nuovo compagno, Francesco Aldobrandini continuavo a frequentare un certo mondo. Ero sempre al centro della mondanità internazionale ma da cui, va ricordato, non erano fuori gli artisti, i pittori maledetti, Schifano, Festa, Angeli. E il mio primo pensiero era per l'arte. A Roma c'erano decine di gallerie: la Medusa, la Tartaruga di Plinio De Martiis, il garage di Fabio Sargentini... E artisti della generazione precedente: De Pisis o Giorgio De Chirico, con cui pranzavo abbastanza spesso. Andavano e venivano Alberto Burri e Lucio Fontana. Ero amica di Renato Guttuso. Roma era una specie di pentola in continua ebollizione dove i fagioli magari erano i poeti Mieli o Sandro Penna, o un nugolo di teatrini off dove ho conosciuto Memè Perlini, Carmelo Bene, Bertolucci. Insomma Roma era la sede dei movimenti più avanzati e tutto quello che era fuori dalle rotaie mi attraeva. Per natura sono sempre stata una trasgressiva. E volevo fare una mostra. Ma loro continuavano a non credermi. Alla fine ci fu un diktat: siamo d'accordo, facciamo una mostra ma al Palazzo delle Esposizioni. Soltanto lì, e non in un altro posto. Tanto brigai che mi fu concesso il Palazzo delle Esposizioni..."

C'era da costituire l'associazione...
"L'associazione culturale nacque qualche mese dopo la prima mostra, nel 1970, fondata con l'amore di Francesco Aldobrandini e con l'aiuto di Giorgio Franchetti, uomo di grande sapienza, che fu il mio paladino nel mondo dell'arte. Andammo dall'avvocato Giorno Moscon per l'atto costitutivo, amico e collezionista d'arte. Diventò presidente Alberto Moravia ma alle riunioni era presente, sempre, anche Argan, che avevo conosciuto grazie a Palma Bucarelli, la direttrice della Galleria nazionale d'arte moderna, donna potente e temuta. Argan e Moravia furono i pilastri degli Incontri, i padri putativi. Moravia era straordinariamente curioso, amava frequentare i giovani. Forse fu per questo che accettò la presidenza".

LE MOSTRE

Parliamo della prima mostra organizzata dagli Incontri al Palazzo delle Esposizioni. Aveva per titolo Vitalità del negativo, fu inaugurata il 30 novembre del 1970.
"Fu una vera impresa. Ricordo bene che lavorammo tutta l'estate. E sempre con grande entusiasmo. La mostra si formò lentamente, nacque anche attraverso un dibattito con artisti che poi vi parteciparono come Paolo Scheggi o Gino Marotta, Piero Sartogo che si occupava dell'immagine dell'esposizione. Achille Bonito Oliva, che ne fu il curatore, era un artista tra gli artisti. Fu allora che vinsi la sfida. Ottenni il Palazzo delle Esposizioni, prestato dal Ministero per la Pubblica Istruzione. Ma il Palazzo era in stato di completo abbandono e con Piero Sartogo cominciammo a studiare l'edificio per capire come ritrovarne un'immagine e un'unità, come unire il primo e il secondo piano. Fu recuperato con grande semplicità ma anche con dei momenti spettacolari. Brionvega, che era lo sponsor, accettò di sistemare fuori dal Palazzo una decina di televisori. Qui veniva proiettato quello che accadeva all'interno suscitando meraviglia e curiosità nei passanti, attirando visitatori. Fu una scelta d'avanguardia così come lo erano le opere all'interno. Molti artisti decisero di realizzare degli ambienti, cioè degli spazi in cui lo spettatore non era più un passivo contemplatore ma partecipava attivamente alla loro vita. Prepararono degli ambienti Marotta, Bonalumi, Mauri, Castellani, Alfano e Boriani. Fu un successo. Era una mostra sapiente e al contempo imponente, accattivante e armoniosa, dove si incontravano i monocromi di Schifano, i dipinti di Tano Festa, e all'ingresso il coro del Nabucco di Gianni Kounellis... Il tutto accompagnato da uno splendido catalogo".

Perché Vitalità del negativo?
"Il titolo lo scelse Bonito Oliva. Era per lui un modo per ricollegarsi alla cultura tedesca. E' un richiamo a Nietzsche".

Questa mostra fu, per gli Incontri , un primo passo per poi intraprendere anche un cammino diverso.
"E' vero. Un anno dopo, nel 1971, aprimmo all'interno degli Incontri il Centro d'informazione alternativa proprio con Bonito Oliva, sempre in veste di curatore, e Bruno Corà, come coordinatore. Il Centro aveva un doppio compito: informazione attiva e documentazione, e operava non solo nel campo delle arti figurative ma anche in quello cinematografico, teatrale, nell'architettura, la musica... Di conseguenza fu messo a punto un meccanismo che prevedeva dibattiti, presentazioni. Non erano degli interventi causali. Organizzammo dei veri e propri cicli tematici. Ogni ciclo andava avanti per tre o quattro settimane e ogni giorno a Palazzo Taverna c'era un personaggio diverso che interveniva sul tema del momento. Arrivarono artisti, scrittori, intellettuali, filosofi, architetti, direttori di riviste d'arte, scienziati. Da Alighiero Boetti a Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Giorgio Pressburger, il gruppo Superstudio, Emilio Prini... Fu un luogo di profonde riflessioni. Cercavamo di capire e di far capire cosa stava accadendo nel mondo della cultura dopo il Sessantotto".

Qual era il pubblico di Palazzo Taverna?
"Molti giovani ma anche intellettuali e studiosi che nel tempo sarebbero divenuti importanti per il Paese. A volte non sapevo chi erano, non li conoscevo. Vedevo spesso due signore ben vestite, educate... Seppi dopo che erano le sorelle Montalcini. Era sempre presente il neuropsichiatra Giovanni Bollea, ma anche Alberto Arbasino, Enzo Siciliano, Mino Monicelli, Furio Colombo, Argan..."

L'altra mostra storicamente molto importante, nata anche dal consenso di questi eventi, fu Contemporanea . Era il 1973.
"E' una mostra che ha segnato la storia, oggi citata tra le più importanti del XX secolo. Per la prima volta le arti visive furono messe a confronto con il cinema, il teatro, la musica, l'architettura. Coglievamo i frutti della nostra esperienza. Messo a punto un programma di massima, con Bonito Oliva decidemmo di chiamare altri curatori per le varie sezioni. E poi cominciammo a cercare una sede. Non era semplice. Un giorno improvvisamente mi balenò l'idea del parcheggio sotterraneo di villa Borghese. La costruzione era terminata ma ancora non era utilizzata. Presi contatto con la società Condotte d'Acqua che ne era titolare e la proposta piacque molto. Aprire un parcheggio con una grande mostra... non ci furono problemi. Contemporaneamente alzammo il tiro sul fronte artistico. Proponemmo al Comune, alla soprintendenza, un intervento di Christo: impacchettamento delle mura aureliane. Anche questa proposta fu accettata. Credo che oggi non sarebbe possibile fare un'operazione simile. Ci sarebbero polemiche, divieti... Purtroppo la burocrazia è tornata indietro, non ha fatto passi in avanti".

Il lavoro era diviso tra la caverna del parcheggio e le mura. Ma davvero non ci furono polemiche?
"Ci fu chi giudicò l'idea pazza, o addirittura poco rispettosa nei confronti degli artisti. Non era il loro pensiero. In realtà si applicavano per la prima volta nuovi metodi e si entrava in nuovi luoghi. A visitare questa mostra, veramente per la prima volta, arrivarono intere famiglie, le mamme con i bambini. Il parcheggio diventò un luogo magico. Cinema, teatro, performance, tutto in contemporane, tutto di altissima qualità. Giuseppe Bertolucci invitò l'Odin Teatret, Vassilicò, Carmelo Bene, Bob Wilson, Barba... proiettammo i film di Pasolini. Tra gli artisti ricordo Beuys, Warhol, Richard Serra, Rauschenberg, il gruppo Fluxus... C'era anche una sezione di informazione alternativa curata da Bruno Corà cui parteciparono Magistratura Democratica, Pio Baldelli, Franco Basaglia, Adele Cambria, Umberto Eco... Oggi sono nomi altisonanti ma allora nessuno era sul piedistallo. Arrivarono tutti a Roma e tutti si misero al lavoro nel parcheggio di villa Borghese, uno accanto all'altro. Fu uno spettacolo vedere tutto questo così come fu spettacolare l'intervento di Christo che impacchettò Porta Pinciana e parte delle mura aurealiane".

Quali furono le reazioni?
"Non ci furono reazioni negative. Una notte avemmo qualche timore, forse qualcuno voleva incendiare il lavoro di Christo. Generalmente però fu seguito con affetto. Durante la preparazione i suoi teloni, le corde arancioni affascinarono i ragazzi, le donne, gli automobilisti che arrivavano a Porta Pinciana... Fu un'esperienza di bellezza e di freschezza, un'operazione di grande stile. Ho un solo rammarico: non sono rimasti a Roma i disegni preparatori di Christo, una cinquantina. Lo Stato non volle intervenire".

Nessuno si fece avanti?
"Nessun museo o sponsor privato volle acquistare le opere di Rauschenberg o Warhol. Gli artisti erano propensi a lasciarle in Italia. Ma la risposta fu il silenzio. Per Roma e l'Italia è stata davvero un'occasione perduta".

Facciamo un salto nel tempo, entriamo nell'oggi...
"Voglio ricordare un paio di mostre, Minimalia e la Transavanguardia e la lunga collaborazione con il museo di Capodimonte di Napoli dove abbiamo organizzato ben dodici esposizioni. Minimalia ha consolidato l'attenzione degli Stati Uniti verso l'arte italiana. Anche di questa è stato curatore Bonito Oliva, presentata prima a Venezia e poi al PS1 di New York. Quella sulla Transavanguardia è invece partita da Shangai. Oggi è in Argentina per poi proseguire verso il Cile prima e il Messico poi".

Gli Incontri si occupano anche di cinema. Perché?
"Abbiamo avuto un collegamento con il Museum of Modern Art di New York per il quale organizzammo delle vere e proprie retrospettive. Ne abbiamo realizzate sugli anni Trenta, sulla commedia all'italiana, Anna Magnani, il cinema napoletano... Ora che il Moma è chiuso per restauri ne stiamo preparando una sul cinema siciliano per il Bam di New York. Perché il cinema? Il valore di un'associazione culturale dipende dalla capacità di intervenire e dirigersi dove c'è più bisogno. Se occorre intervenire nella creatività, ad esempio, andiamo verso gli artisti, ma siamo pronti a sterzare la nostra attenzione e forza verso la documentazione se occorre, o il teatro, il cinema... Ogni epoca ha necessità diverse, attimi di gloria e di debolezza in ogni campo. Seguiamo con attenzione l'evolversi della situazione culturale, dosando attentamente gli interventi. Il cinema è un settore che ha sempre bisogno di aiuti e di interventi pubblici e privati".

GLI ARTISTI

Nelle decine di manifestazioni e mostre organizzate con gli Incontri lei ha conosciuto centinaia di artisti, compresi alcuni che sono entrati nell'Olimpo della contemporaneità come Joseph Beuys o Andy Warhol. Come li ricorda oggi?

"Joseph Beuys è stato un vero amico, spesso mio ospite a Capri, nell'appartamento che avevo a Palazzo Cerio. Ricordo che un paio di anni dopo averlo conosciuto arrivò nell'isola nei giorni in cui stavo organizzando il Premio Malaparte. Gli dissi: Joseph disegnami il manifesto per la prossima edizione. Lui prendendomi di spalle mi cambiò il tono di voce e mi rispose così: 'Cara Graziella pensa a una sola cosa da questo momento: alla pace'. Mi fece una grande impressione. A livello internazionale era un momento tranquillo. Capri era un'oasi di pace, di gioia di vivere, una stella luccicante. Nulla faceva supporre una risposta di questo genere, così seria, pronunciata con voce quasi drammatica. Se guardo al disordine del mondo odierno è, in qualche modo, una premonizione. Non l'ho mai dimenticato. E rivendendolo con gli occhi di oggi Beuys mi appare come un profeta dell'arte. E' stato un artista anomalo, differente da tutti gli altri, attraversato da un profondo pensiero filosofico".

E Andy Warhol?
"L'ho conosciuto negli Stati Uniti. Mi fu presentato da Franco Rossellini che frequentava il mondo newyorchese della Pop art. Dietro suo consiglio lo invitai in Italia. Organizzammo una retrospettiva di tutti i film che aveva prodotto con la Factory. Fu così che arrivò a Roma. Presentò i suoi film ma quella fu anche la prima volta che ebbe un vero impatto con l'Italia. A quel tempo abitavo in piazza dell'Ara Coeli. Lui era meravigliato per la casa, che non era arredata con opere contemporanee ma con quadri antichi, porcellane, argenti. Scoprii con non poca meraviglia che era un autentico intenditore d'antiquariato. Ma fu colpito, ancor di più, dalle vedute michelangiolesche che offrivano le finestre. Era qualcosa che sentiva nel profondo. Di fronte a questa magnificenza di Roma restava in silenzio, quasi si nascondeva come accadde una sera durante un pranzo con Argan e Palma Bucarelli. Quasi non aprì bocca. Il giorno dopo volle andare a Porta Portese. Acquistò ogni oggetto che recava lo stemma di Casa Savoia, come se volesse entrare nel cuore dell'aristocrazia romana attraverso una cornice o delle vecchie fotografie. Poi lo accompagnai a Tivoli, a Villa Adriana. Aveva con sé l'immancabile macchina fotografica Polaroid e un piccolo registratore. Registrava tutto, dai discorsi della gente durante una colazione, al canto degli uccelli. Probabilmente era l'idea per un lavoro. Tutte le bobine di Warhol ora sono nella National Library di Washington".

Eseguì anche un suo ritratto.
"Non fu mai commissionato. Lo realizzò di sua iniziativa, probabilmente usando le Polaroid che aveva scattato durante questo primo soggiorno romano. Me lo inviò quando organizzai la mostra Contemporanea. Da allora è sempre rimasto nella mia casa".

Ci fu un problema tra lei e Warhol a causa di un ritratto al Papa, è ricordato nei diari dell'artista...
"Più che un problema ci fu un equivoco. Sul finire degli anni Settanta Warhol voleva realizzare un ritratto di Papa Giovanni Paolo II. Mi chiese di intervenire, di prendere un appuntamento in Vaticano. Grazie all'interessamento dell'onorevole Antonio Bisaglia riuscii ad avere dei contatti, l'approvazione del progetto, la concessione di un colloquio privato. Ma Andy Warhol rinviava continuamente la partenza da New York. Arrivò all'improvviso un 1 aprile, proprio quando cominciava la Settimana Santa. Non era possibile avere un colloquio privato col Papa. Dal Vaticano mi fecero sapere che comunque avrebbero avuto delle attenzione. Fu ricevuto con altre persone. Warhol scattò delle Polaroid ma non realizzò il ritratto. Poi ha scritto nei diari: 'Graziella non ha avuto la capacità'... Non comprese che durante la Settimana Santa non era possibile incontrare il Papa".

Gli anni Settanta furono gli anni della Scuola di Piazza del Popolo.
"Quando cominciai a parlarne con Giulio Carlo Argan, Maurizio Calvesi, Alberto Boatto, trovai un grande scetticismo. Per loro, ma non lo dicevano, era il capriccio di una bella donna. Gli artisti, i critici a me vicini, Paolo Scheggi, Piero Sartogo, Achille Bonito Oliva, Gino Marotta, Fabio Mauri, non la pensavano troppo diversamente. Andai a Montepulciano a vedere una meravigliosa mostra dal titolo Amore mio, che era curata da Bonito Oliva. Erano tutti lì, gli artisti, i critici, e cominciarono a lanciarmi delle sfide: ma cosa vuoi, cosa vuoi fare... Erano carichi di ironia a causa di un precedente tentativo. Inizialmente ci fu Capri. Avevo fondato l'Associazione amici di Capri , volevo una mostra nella Certosa. Invitai tutti nell'isola. E fu un disastro. Gino Marotta, che non sapeva nuotare, cominciò a sentirsi male in vaporetto. La piazzetta era occupata da un festival della canzone napoletana. Si possono immaginare le reazioni di artisti e critici, tutti sessantottini, tutti politicamente impegnati... Mi giudicarono mediocre, almeno credo... La mia prima battaglia fu una sconfitta. Ma fu allora il momento dell'idea di un'associazione culturale. Nel mio pensiero germogliavano gli Incontri, una mostra. Non mi credevano..."

Le signore al massimo potevano aprire una boutique...
"Sono stata molto amica con Tano Festa. Arrivava a casa ogni giorno, a tutte le ore. A un certo punto andava in giro dicendo che ero sua madre e firmava dei quadri Tano Aldobrandini, il cognome del mio compagno... Lo ricordo come artista e come uomo, per la gentilezza che aveva. Di lui ho sempre un flash: un giorno lo incontrai a Cortina, con una neve spaventosa, con due batuffoli neri per mano, le due figlie. Lui spettinato, con un cappellaccio..."

Agli Incontri è stato molto vicino Alighiero Boetti...
"Non era sicuramente il mio sogno. Con il mio nuovo compagno, Francesco Aldobrandini continuavo a frequentare un certo mondo. Ero sempre al centro della mondanità internazionale ma da cui, va ricordato, non erano fuori gli artisti, i pittori maledetti, Schifano, Festa, Angeli. E il mio primo pensiero era per l'arte. A Roma c'erano decine di gallerie: la Medusa, la Tartaruga di Plinio De Martiis, il garage di Fabio Sargentini... E artisti della generazione precedente: De Pisis o Giorgio De Chirico, con cui pranzavo abbastanza spesso. Andavano e venivano Alberto Burri e Lucio Fontana. Ero amica di Renato Guttuso. Roma era una specie di pentola in continua ebollizione dove i fagioli magari erano i poeti Mieli o Sandro Penna, o un nugolo di teatrini off dove ho conosciuto Memè Perlini, Carmelo Bene, Bertolucci. Insomma Roma era la sede dei movimenti più avanzati e tutto quello che era fuori dalle rotaie mi attraeva. Per natura sono sempre stata una trasgressiva. E volevo fare una mostra. Ma loro continuavano a non credermi. Alla fine ci fu un diktat: siamo d'accordo, facciamo una mostra ma al Palazzo delle Esposizioni. Soltanto lì, e non in un altro posto. Tanto brigai che mi fu concesso il Palazzo delle Esposizioni..."

C'era da costituire l'associazione...
"L'associazione culturale nacque qualche mese dopo la prima mostra, nel 1970, fondata con l'amore di Francesco Aldobrandini e con l'aiuto di Giorgio Franchetti, uomo di grande sapienza, che fu il mio paladino nel mondo dell'arte. Andammo dall'avvocato Giorno Moscon per l'atto costitutivo, amico e collezionista d'arte. Diventò presidente Alberto Moravia ma alle riunioni era presente, sempre, anche Argan, che avevo conosciuto grazie a Palma Bucarelli, la direttrice della Galleria nazionale d'arte moderna, donna potente e temuta. Argan e Moravia furono i pilastri degli Incontri, i padri putativi. Moravia era straordinariamente curioso, amava frequentare i giovani. Forse fu per questo che accettò la presidenza".

LE MOSTRE

Parliamo della prima mostra organizzata dagli Incontri al Palazzo delle Esposizioni. Aveva per titolo Vitalità del negativo, fu inaugurata il 30 novembre del 1970.
"Boetti... per lui solo tenerezza, da quando lo conobbi. Stavamo preparando l'allestimento di Vitalità del negativo . Entrò al Palazzo delle Esposizioni con in mano una rosa dallo stelo lunghissimo, la cartella con i suoi disegni e il suo autoritratto eseguito da un amico torinese. Era ben vestito, in giacca. Non sapeva dove mettere la rosa, era timido, imbarazzato. Era una creatura fragilissima, e lo fu per tutta la vita".

Warhol, Boetti, Beuys... Sono morti da qualche anno.
"E' vero che ho parlato di artisti scomparsi. Ma sono persone che ho amato molto. Ci sono anche artisti viventi di cui sono molto amica. Gianni Kounellis, ad esempio, che seguo costantemente e che cessa mai di meravigliarmi, Michelagelo Pistoletto, che continua a rinnovarsi in modo straordinario, Mario Merz, Luciano Fabro, Luigi Ontani, Daniel Buren, Richter... Non posso nominarli tutti. Ma tutti sono e resteranno sempre nel mio cuore. Oggi mi occupo di artisti giovani come Cannavacciuolo, Pintaldi, Fogli, Liliana Moro, Aquilanti... cerco di costruire anche per loro una strada da percorrere".

Un grande amico è Cy Twombly.
"Da sempre. Cy è un grande amante di Napoli, di Capri. Ci siamo visti molto spesso per anni. Mi ha sempre incantato la sua casa arredata con marmi, con busti, capitelli. Mi ha sempre attirato questo suo gusto, che è simile al mio, il comune amore per Capri, un'isola che per me non ha confronti".

Qual è l'opera della sua collezione a cui è più affezionata?
"Parafrasando un celebre proverbio napoletano rispondo dicendo che tutte le mie opere sono piezz' 'e core".

I CURATORI

Con gli Incontri hanno collaborato in modo implicito o esplicito quasi tutti i più importanti critici e storici d'arte, da Giulio Carlo Argan, che in qualche modo fu un'eminenza grigia degli esordi, a giovani e giovanissimi curatori. Il padre è però Achille Bonito Oliva.
"Achille Bonito Oliva è stato il primo e vero curatore degli Incontri, quello che inizialmente ha indicato la linea culturale da seguire. E Bruno Corà. Ognuno di loro è poi andato per la sua strada, ci siamo lasciati e poi ritrovati come con Achille. Ancor oggi lavoriamo insieme. Bruno è tornato per le mostre di Capodimonte. Il rapporto più lungo e stretto è sicuramente quello con Achille che ho conosciuto giovanissimo, quando organizzò la mostra Amore mio a Montepulciano. Era... lo potrei paragonare a un folletto. Sempre in movimento con una vivacità e fantasia di argomentazioni che nel tempo non è mai scesa di un centimetro. Nel mondo dell'arte è la persona più fantasiosa che abbia mai conosciuto con una profondità di pensiero superiore a quello che uno può immaginare. E' stato il grosso motore degli Incontri , con lui abbiamo inventato molte cose. Ha un grosso pregio. Anche se appare come un interprete solitario ha in realtà un modo di muoversi che è agli antipodi: ascolta attentamente i giudizi degli artisti, dei critici, dei giovani. La vitalità di Achille è stata molto importante per gli Incontri , ma altrettanto importante è stato il contributo che tutti hanno portato. Non dimentichiamo che il primo obiettivo era quello di unire il pubblico e il privato, una cosa a cui trent'anni fa nessuno pensava".

E Bruno Corà?
"Ha una storia a sé. E' un uomo molto silenzioso, esigente con gli altri e con se stesso, un pensatore che con gli artisti riesce a intrecciare rapporti che potrei definire segreti. Il suo cammino è completamente differente da quello degli altri".

Con gli Incontri ha collaborato anche Germano Celant. Come ha vissuto questo duello alla Bartali-Coppi tra Celant e Achille Bonito Oliva?
"Fu una vera impresa. Ricordo bene che lavorammo tutta l'estate. E sempre con grande entusiasmo. La mostra si formò lentamente, nacque anche attraverso un dibattito con artisti che poi vi parteciparono come Paolo Scheggi o Gino Marotta, Piero Sartogo che si occupava dell'immagine dell'esposizione. Achille Bonito Oliva, che ne fu il curatore, era un artista tra gli artisti. Fu allora che vinsi la sfida. Ottenni il Palazzo delle Esposizioni, prestato dal Ministero per la Pubblica Istruzione. Ma il Palazzo era in stato di completo abbandono e con Piero Sartogo cominciammo a studiare l'edificio per capire come ritrovarne un'immagine e un'unità, come unire il primo e il secondo piano. Fu recuperato con grande semplicità ma anche con dei momenti spettacolari. Brionvega, che era lo sponsor, accettò di sistemare fuori dal Palazzo una decina di televisori. Qui veniva proiettato quello che accadeva all'interno suscitando meraviglia e curiosità nei passanti, attirando visitatori. Fu una scelta d'avanguardia così come lo erano le opere all'interno. Molti artisti decisero di realizzare degli ambienti, cioè degli spazi in cui lo spettatore non era più un passivo contemplatore ma partecipava attivamente alla loro vita. Prepararono degli ambienti Marotta, Bonalumi, Mauri, Castellani, Alfano e Boriani. Fu un successo. Era una mostra sapiente e al contempo imponente, accattivante e armoniosa, dove si incontravano i monocromi di Schifano, i dipinti di Tano Festa, e all'ingresso il coro del Nabucco di Gianni Kounellis... Il tutto accompagnato da uno splendido catalogo".

Perché Vitalità del negativo?
"Celant ha collaborato con gli Incontri nel 1981 per la mostra Identitè italienne che organizzammo al Centre Pompidou di Parigi. Nessuno può negare che per il mondo dell'arte Achille e Germano sono stati come Coppi e Bartali per il ciclismo. Questo continuo confronto-scontro è stato molto salutare per entrambi. Li ha obbligati a impegnarsi ogni giorno, sempre più. E il risultato finale è stato estremamente positivo per l'arte italiana. Oggi entrambi dovrebbero cominciare a lasciare degli spazi, insomma dovrebbero idealmente nominare degli eredi, farli avanzare. Forse esistono ma ancora pochi li hanno visti".

Ma quali sono gli eredi?
"Il titolo lo scelse Bonito Oliva. Era per lui un modo per ricollegarsi alla cultura tedesca. E' un richiamo a Nietzsche".

Questa mostra fu, per gli Incontri , un primo passo per poi intraprendere anche un cammino diverso.
"E' vero. Un anno dopo, nel 1971, aprimmo all'interno degli Incontri il Centro d'informazione alternativa proprio con Bonito Oliva, sempre in veste di curatore, e Bruno Corà, come coordinatore. Il Centro aveva un doppio compito: informazione attiva e documentazione, e operava non solo nel campo delle arti figurative ma anche in quello cinematografico, teatrale, nell'architettura, la musica... Di conseguenza fu messo a punto un meccanismo che prevedeva dibattiti, presentazioni. Non erano degli interventi causali. Organizzammo dei veri e propri cicli tematici. Ogni ciclo andava avanti per tre o quattro settimane e ogni giorno a Palazzo Taverna c'era un personaggio diverso che interveniva sul tema del momento. Arrivarono artisti, scrittori, intellettuali, filosofi, architetti, direttori di riviste d'arte, scienziati. Da Alighiero Boetti a Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Giorgio Pressburger, il gruppo Superstudio, Emilio Prini... Fu un luogo di profonde riflessioni. Cercavamo di capire e di far capire cosa stava accadendo nel mondo della cultura dopo il Sessantotto".

"Di eredi a mio giudizio ce ne sono molti. Bisognerà vedere chi vince la volata finale. Ma ci sono... Oggi sono un gruppo compatto di cui fanno parte molte donne... Noi collaboriamo con molti giovani: abbiamo cominciato con Laura Cherubini, poi Cecilia Casorati, Daniela Lancioni, Adachiara Zevi. Ma non voglio fare un elenco di nomi. Manca ancora il primo della classe. Bisognerà vedere durante la volata finale chi riuscirà a dare il colpo di reni. E' una gara da seguire anche se non c'è più la combattività degli anni Settanta. Non so dire se è per mancanza di grinta e idee o per cambiamenti dovuti allo sviluppo delle tecnologie. Faccio un esempio. Oggi la ricerca la puoi portare avanti con mezzi meccanici, con Internet. Prima contava molto più la bravura umana. Ora conta l'organizzazione, la tecnica".

IL FUTURO

Qual era il pubblico di Palazzo Taverna?
"Molti giovani ma anche intellettuali e studiosi che nel tempo sarebbero divenuti importanti per il Paese. A volte non sapevo chi erano, non li conoscevo. Vedevo spesso due signore ben vestite, educate... Seppi dopo che erano le sorelle Montalcini. Era sempre presente il neuropsichiatra Giovanni Bollea, ma anche Alberto Arbasino, Enzo Siciliano, Mino Monicelli, Furio Colombo, Argan..."

L'altra mostra storicamente molto importante, nata anche dal consenso di questi eventi, fu Contemporanea . Era il 1973.
"E' una mostra che ha segnato la storia, oggi citata tra le più importanti del XX secolo. Per la prima volta le arti visive furono messe a confronto con il cinema, il teatro, la musica, l'architettura. Coglievamo i frutti della nostra esperienza. Messo a punto un programma di massima, con Bonito Oliva decidemmo di chiamare altri curatori per le varie sezioni. E poi cominciammo a cercare una sede. Non era semplice. Un giorno improvvisamente mi balenò l'idea del parcheggio sotterraneo di villa Borghese. La costruzione era terminata ma ancora non era utilizzata. Presi contatto con la società Condotte d'Acqua che ne era titolare e la proposta piacque molto. Aprire un parcheggio con una grande mostra... non ci furono problemi. Contemporaneamente alzammo il tiro sul fronte artistico. Proponemmo al Comune, alla soprintendenza, un intervento di Christo: impacchettamento delle mura aureliane. Anche questa proposta fu accettata. Credo che oggi non sarebbe possibile fare un'operazione simile. Ci sarebbero polemiche, divieti... Purtroppo la burocrazia è tornata indietro, non ha fatto passi in avanti".

Il lavoro era diviso tra la caverna del parcheggio e le mura. Ma davvero non ci furono polemiche?
"Ho già accennato alle mutazioni dovute all'ingresso delle nuove tecnologie. Ma con il passare degli anni in Italia ci sono stati altri cambiamenti, assai positivi. Nel panorama dell'arte contemporanea, che è stato a lungo un deserto, oggi abbiamo due grandi esempi: il Museo per l'arte contemporanea del Castello di Rivoli, e il Mart di Rovereto. Volendo mostrare l'arte contemporanea a un viaggiatore straniero lo porterei a Rivoli perché il Mart di Rovereto sta ancora mettendo a punto le collezioni. Ma è il primo museo italiano pensato e costruito esclusivamente per la contemporaneità, progettato da un grande architetto, Mario Botta. E già possiede opere di grande interesse. Può riservare molte sorprese. E questa è, a mio giudizio, la strada da seguire: è arrivato il momento di operare con interventi permanenti e il Mart ne è il migliore esempio. Non possiamo più pensare soltanto alle esposizioni temporanee, a quello che un tempo era definito effimero. Dobbiamo pensare a delle opere d'arte da lasciare alle generazioni future. Gli Incontri l'hanno già fatto a Capodimonte e a Spoleto. Ma tutti dovranno muoversi in questa direzione. C'è già uno straordinario intervento, un esempio: la metropolitana di Napoli".

La metropolitana di Napoli?
"Sì, obiettivamente. Non lo dico perché sono napoletana. Le stazioni sono diventate davvero un museo in cui vengono presentati lavori eseguiti da artisti di tutte le nazionalità. E' un esempio da seguire e credo che sulla scia della metropolitana nasceranno altri luoghi segnati dalla presenza dell'arte contemporanea".

Gli Incontri però si sono sempre mossi per mostre, dibattiti, convegni...
"Ci fu chi giudicò l'idea pazza, o addirittura poco rispettosa nei confronti degli artisti. Non era il loro pensiero. In realtà si applicavano per la prima volta nuovi metodi e si entrava in nuovi luoghi. A visitare questa mostra, veramente per la prima volta, arrivarono intere famiglie, le mamme con i bambini. Il parcheggio diventò un luogo magico. Cinema, teatro, performance, tutto in contemporane, tutto di altissima qualità. Giuseppe Bertolucci invitò l'Odin Teatret, Vassilicò, Carmelo Bene, Bob Wilson, Barba... proiettammo i film di Pasolini. Tra gli artisti ricordo Beuys, Warhol, Richard Serra, Rauschenberg, il gruppo Fluxus... C'era anche una sezione di informazione alternativa curata da Bruno Corà cui parteciparono Magistratura Democratica, Pio Baldelli, Franco Basaglia, Adele Cambria, Umberto Eco... Oggi sono nomi altisonanti ma allora nessuno era sul piedistallo. Arrivarono tutti a Roma e tutti si misero al lavoro nel parcheggio di villa Borghese, uno accanto all'altro. Fu uno spettacolo vedere tutto questo così come fu spettacolare l'intervento di Christo che impacchettò Porta Pinciana e parte delle mura aurealiane".

Quali furono le reazioni?
"Ma siamo coscienti dei cambiamenti e anche noi stiamo cambiando. Ci stiamo dedicando moltissimo all'archivio e abbiamo aperto la biblioteca ai giovani. L'interesse per quello che è accaduto nella seconda metà del Novecento è sempre più forte. Al contempo ritengo estremamente importante per un'associazione come la nostra assegnare il maggior numero di borse di studio. Ormai non c'è una sola nazionane ma l'Europa che si confronta con gli Stati Uniti e l'Oriente, ormai prepotentemente alla ribalta. I giovani artisti hanno bisogno di vedere il mondo perché soltanto nella battaglia, nel confronto, nel superarsi, viene fuori il meglio di noi stessi. Ho cercato di farlo da subito: a questa rassegna di Villa Medici è legata una borsa di studio in Francia dove mi auguro che vincitori possano trovare quella fantasia di cui l'arte ha bisogno".

Ha dei pentimenti, rifarebbe tutto?
"Nell'epoca in cui ci siamo mossi la nostra era avanguardia. Rifarei tutto. Oggi però tutto è cambiato. Le informazioni arrivano in tempo reale. Il mondo dell'arte è veramente multietnico e transnazionale. La situazione è diversa e diverso sarebbe il percorso degli Incontri".

La mostra di Villa Medici dunque chiude un'epoca.
"Non ci furono reazioni negative. Una notte avemmo qualche timore, forse qualcuno voleva incendiare il lavoro di Christo. Generalmente però fu seguito con affetto. Durante la preparazione i suoi teloni, le corde arancioni affascinarono i ragazzi, le donne, gli automobilisti che arrivavano a Porta Pinciana... Fu un'esperienza di bellezza e di freschezza, un'operazione di grande stile. Ho un solo rammarico: non sono rimasti a Roma i disegni preparatori di Christo, una cinquantina. Lo Stato non volle intervenire".

"Non v'è dubbio anche se non vi è stato nulla di preordinato. L'invito è stata una sorpresa, inaspettato. Non nascondo che mi ha fatto piacere e mi ha emozionato. E' un mettersi in mostra... Fino ad oggi mi ero nascosta dietro gli Incontri . Oggi devo vincere questa mia ritrosia e far vedere il lavoro, far capire come e quante persone sono intervenute, quanto è stata importante la loro partecipazione. Indubbiamente si chiude un'epoca ma se ne apre un'altra, più moderna, più protesa verso il futuro, verso costruzioni stabili, permanenti".

Ma perché chiudere un'epoca con un omaggio francese e non italiano?
"Perché gli italiani sono sempre distratti. Chiamiamola distrazione".
"Nessun museo o sponsor privato volle acquistare le opere di Rauschenberg o Warhol. Gli artisti erano propensi a lasciarle in Italia. Ma la risposta fu il silenzio. Per Roma e l'Italia è stata davvero un'occasione perduta".

Facciamo un salto nel tempo, entriamo nell'oggi...
"Voglio ricordare un paio di mostre, Minimalia e la Transavanguardia e la lunga collaborazione con il museo di Capodimonte di Napoli dove abbiamo organizzato ben dodici esposizioni. Minimalia ha consolidato l'attenzione degli Stati Uniti verso l'arte italiana. Anche di questa è stato curatore Bonito Oliva, presentata prima a Venezia e poi al PS1 di New York. Quella sulla Transavanguardia è invece partita da Shangai. Oggi è in Argentina per poi proseguire verso il Cile prima e il Messico poi".

Gli Incontri si occupano anche di cinema. Perché?
"Abbiamo avuto un collegamento con il Museum of Modern Art di New York per il quale organizzammo delle vere e proprie retrospettive. Ne abbiamo realizzate sugli anni Trenta, sulla commedia all'italiana, Anna Magnani, il cinema napoletano... Ora che il Moma è chiuso per restauri ne stiamo preparando una sul cinema siciliano per il Bam di New York. Perché il cinema? Il valore di un'associazione culturale dipende dalla capacità di intervenire e dirigersi dove c'è più bisogno. Se occorre intervenire nella creatività, ad esempio, andiamo verso gli artisti, ma siamo pronti a sterzare la nostra attenzione e forza verso la documentazione se occorre, o il teatro, il cinema... Ogni epoca ha necessità diverse, attimi di gloria e di debolezza in ogni campo. Seguiamo con attenzione l'evolversi della situazione culturale, dosando attentamente gli interventi. Il cinema è un settore che ha sempre bisogno di aiuti e di interventi pubblici e privati".

GLI ARTISTI

Nelle decine di manifestazioni e mostre organizzate con gli Incontri lei ha conosciuto centinaia di artisti, compresi alcuni che sono entrati nell'Olimpo della contemporaneità come Joseph Beuys o Andy Warhol. Come li ricorda oggi?

"Joseph Beuys è stato un vero amico, spesso mio ospite a Capri, nell'appartamento che avevo a Palazzo Cerio. Ricordo che un paio di anni dopo averlo conosciuto arrivò nell'isola nei giorni in cui stavo organizzando il Premio Malaparte. Gli dissi: Joseph disegnami il manifesto per la prossima edizione. Lui prendendomi di spalle mi cambiò il tono di voce e mi rispose così: 'Cara Graziella pensa a una sola cosa da questo momento: alla pace'. Mi fece una grande impressione. A livello internazionale era un momento tranquillo. Capri era un'oasi di pace, di gioia di vivere, una stella luccicante. Nulla faceva supporre una risposta di questo genere, così seria, pronunciata con voce quasi drammatica. Se guardo al disordine del mondo odierno è, in qualche modo, una premonizione. Non l'ho mai dimenticato. E rivendendolo con gli occhi di oggi Beuys mi appare come un profeta dell'arte. E' stato un artista anomalo, differente da tutti gli altri, attraversato da un profondo pensiero filosofico".

E Andy Warhol?
"L'ho conosciuto negli Stati Uniti. Mi fu presentato da Franco Rossellini che frequentava il mondo newyorchese della Pop art. Dietro suo consiglio lo invitai in Italia. Organizzammo una retrospettiva di tutti i film che aveva prodotto con la Factory. Fu così che arrivò a Roma. Presentò i suoi film ma quella fu anche la prima volta che ebbe un vero impatto con l'Italia. A quel tempo abitavo in piazza dell'Ara Coeli. Lui era meravigliato per la casa, che non era arredata con opere contemporanee ma con quadri antichi, porcellane, argenti. Scoprii con non poca meraviglia che era un autentico intenditore d'antiquariato. Ma fu colpito, ancor di più, dalle vedute michelangiolesche che offrivano le finestre. Era qualcosa che sentiva nel profondo. Di fronte a questa magnificenza di Roma restava in silenzio, quasi si nascondeva come accadde una sera durante un pranzo con Argan e Palma Bucarelli. Quasi non aprì bocca. Il giorno dopo volle andare a Porta Portese. Acquistò ogni oggetto che recava lo stemma di Casa Savoia, come se volesse entrare nel cuore dell'aristocrazia romana attraverso una cornice o delle vecchie fotografie. Poi lo accompagnai a Tivoli, a Villa Adriana. Aveva con sé l'immancabile macchina fotografica Polaroid e un piccolo registratore. Registrava tutto, dai discorsi della gente durante una colazione, al canto degli uccelli. Probabilmente era l'idea per un lavoro. Tutte le bobine di Warhol ora sono nella National Library di Washington".

Eseguì anche un suo ritratto.
"Non fu mai commissionato. Lo realizzò di sua iniziativa, probabilmente usando le Polaroid che aveva scattato durante questo primo soggiorno romano. Me lo inviò quando organizzai la mostra Contemporanea. Da allora è sempre rimasto nella mia casa".

Ci fu un problema tra lei e Warhol a causa di un ritratto al Papa, è ricordato nei diari dell'artista...
"Più che un problema ci fu un equivoco. Sul finire degli anni Settanta Warhol voleva realizzare un ritratto di Papa Giovanni Paolo II. Mi chiese di intervenire, di prendere un appuntamento in Vaticano. Grazie all'interessamento dell'onorevole Antonio Bisaglia riuscii ad avere dei contatti, l'approvazione del progetto, la concessione di un colloquio privato. Ma Andy Warhol rinviava continuamente la partenza da New York. Arrivò all'improvviso un 1 aprile, proprio quando cominciava la Settimana Santa. Non era possibile avere un colloquio privato col Papa. Dal Vaticano mi fecero sapere che comunque avrebbero avuto delle attenzione. Fu ricevuto con altre persone. Warhol scattò delle Polaroid ma non realizzò il ritratto. Poi ha scritto nei diari: 'Graziella non ha avuto la capacità'... Non comprese che durante la Settimana Santa non era possibile incontrare il Papa".

Gli anni Settanta furono gli anni della Scuola di Piazza del Popolo.
"Sono stata molto amica con Tano Festa. Arrivava a casa ogni giorno, a tutte le ore. A un certo punto andava in giro dicendo che ero sua madre e firmava dei quadri Tano Aldobrandini, il cognome del mio compagno... Lo ricordo come artista e come uomo, per la gentilezza che aveva. Di lui ho sempre un flash: un giorno lo incontrai a Cortina, con una neve spaventosa, con due batuffoli neri per mano, le due figlie. Lui spettinato, con un cappellaccio..."

Agli Incontri è stato molto vicino Alighiero Boetti...
"Boetti... per lui solo tenerezza, da quando lo conobbi. Stavamo preparando l'allestimento di Vitalità del negativo . Entrò al Palazzo delle Esposizioni con in mano una rosa dallo stelo lunghissimo, la cartella con i suoi disegni e il suo autoritratto eseguito da un amico torinese. Era ben vestito, in giacca. Non sapeva dove mettere la rosa, era timido, imbarazzato. Era una creatura fragilissima, e lo fu per tutta la vita".

Warhol, Boetti, Beuys... Sono morti da qualche anno.
"E' vero che ho parlato di artisti scomparsi. Ma sono persone che ho amato molto. Ci sono anche artisti viventi di cui sono molto amica. Gianni Kounellis, ad esempio, che seguo costantemente e che cessa mai di meravigliarmi, Michelagelo Pistoletto, che continua a rinnovarsi in modo straordinario, Mario Merz, Luciano Fabro, Luigi Ontani, Daniel Buren, Richter... Non posso nominarli tutti. Ma tutti sono e resteranno sempre nel mio cuore. Oggi mi occupo di artisti giovani come Cannavacciuolo, Pintaldi, Fogli, Liliana Moro, Aquilanti... cerco di costruire anche per loro una strada da percorrere".

Un grande amico è Cy Twombly.
"Da sempre. Cy è un grande amante di Napoli, di Capri. Ci siamo visti molto spesso per anni. Mi ha sempre incantato la sua casa arredata con marmi, con busti, capitelli. Mi ha sempre attirato questo suo gusto, che è simile al mio, il comune amore per Capri, un'isola che per me non ha confronti".

Qual è l'opera della sua collezione a cui è più affezionata?
"Parafrasando un celebre proverbio napoletano rispondo dicendo che tutte le mie opere sono piezz' 'e core".

I CURATORI

Con gli Incontri hanno collaborato in modo implicito o esplicito quasi tutti i più importanti critici e storici d'arte, da Giulio Carlo Argan, che in qualche modo fu un'eminenza grigia degli esordi, a giovani e giovanissimi curatori. Il padre è però Achille Bonito Oliva.
"Achille Bonito Oliva è stato il primo e vero curatore degli Incontri, quello che inizialmente ha indicato la linea culturale da seguire. E Bruno Corà. Ognuno di loro è poi andato per la sua strada, ci siamo lasciati e poi ritrovati come con Achille. Ancor oggi lavoriamo insieme. Bruno è tornato per le mostre di Capodimonte. Il rapporto più lungo e stretto è sicuramente quello con Achille che ho conosciuto giovanissimo, quando organizzò la mostra Amore mio a Montepulciano. Era... lo potrei paragonare a un folletto. Sempre in movimento con una vivacità e fantasia di argomentazioni che nel tempo non è mai scesa di un centimetro. Nel mondo dell'arte è la persona più fantasiosa che abbia mai conosciuto con una profondità di pensiero superiore a quello che uno può immaginare. E' stato il grosso motore degli Incontri , con lui abbiamo inventato molte cose. Ha un grosso pregio. Anche se appare come un interprete solitario ha in realtà un modo di muoversi che è agli antipodi: ascolta attentamente i giudizi degli artisti, dei critici, dei giovani. La vitalità di Achille è stata molto importante per gli Incontri , ma altrettanto importante è stato il contributo che tutti hanno portato. Non dimentichiamo che il primo obiettivo era quello di unire il pubblico e il privato, una cosa a cui trent'anni fa nessuno pensava".

E Bruno Corà?
"Ha una storia a sé. E' un uomo molto silenzioso, esigente con gli altri e con se stesso, un pensatore che con gli artisti riesce a intrecciare rapporti che potrei definire segreti. Il suo cammino è completamente differente da quello degli altri".

Con gli Incontri ha collaborato anche Germano Celant. Come ha vissuto questo duello alla Bartali-Coppi tra Celant e Achille Bonito Oliva?
"Celant ha collaborato con gli Incontri nel 1981 per la mostra Identitè italienne che organizzammo al Centre Pompidou di Parigi. Nessuno può negare che per il mondo dell'arte Achille e Germano sono stati come Coppi e Bartali per il ciclismo. Questo continuo confronto-scontro è stato molto salutare per entrambi. Li ha obbligati a impegnarsi ogni giorno, sempre più. E il risultato finale è stato estremamente positivo per l'arte italiana. Oggi entrambi dovrebbero cominciare a lasciare degli spazi, insomma dovrebbero idealmente nominare degli eredi, farli avanzare. Forse esistono ma ancora pochi li hanno visti".

Ma quali sono gli eredi?
"Di eredi a mio giudizio ce ne sono molti. Bisognerà vedere chi vince la volata finale. Ma ci sono... Oggi sono un gruppo compatto di cui fanno parte molte donne... Noi collaboriamo con molti giovani: abbiamo cominciato con Laura Cherubini, poi Cecilia Casorati, Daniela Lancioni, Adachiara Zevi. Ma non voglio fare un elenco di nomi. Manca ancora il primo della classe. Bisognerà vedere durante la volata finale chi riuscirà a dare il colpo di reni. E' una gara da seguire anche se non c'è più la combattività degli anni Settanta. Non so dire se è per mancanza di grinta e idee o per cambiamenti dovuti allo sviluppo delle tecnologie. Faccio un esempio. Oggi la ricerca la puoi portare avanti con mezzi meccanici, con Internet. Prima contava molto più la bravura umana. Ora conta l'organizzazione, la tecnica".

IL FUTURO

Qual è il futuro degli Incontri?
"Ho già accennato alle mutazioni dovute all'ingresso delle nuove tecnologie. Ma con il passare degli anni in Italia ci sono stati altri cambiamenti, assai positivi. Nel panorama dell'arte contemporanea, che è stato a lungo un deserto, oggi abbiamo due grandi esempi: il Museo per l'arte contemporanea del Castello di Rivoli, e il Mart di Rovereto. Volendo mostrare l'arte contemporanea a un viaggiatore straniero lo porterei a Rivoli perché il Mart di Rovereto sta ancora mettendo a punto le collezioni. Ma è il primo museo italiano pensato e costruito esclusivamente per la contemporaneità, progettato da un grande architetto, Mario Botta. E già possiede opere di grande interesse. Può riservare molte sorprese. E questa è, a mio giudizio, la strada da seguire: è arrivato il momento di operare con interventi permanenti e il Mart ne è il migliore esempio. Non possiamo più pensare soltanto alle esposizioni temporanee, a quello che un tempo era definito effimero. Dobbiamo pensare a delle opere d'arte da lasciare alle generazioni future. Gli Incontri l'hanno già fatto a Capodimonte e a Spoleto. Ma tutti dovranno muoversi in questa direzione. C'è già uno straordinario intervento, un esempio: la metropolitana di Napoli".

La metropolitana di Napoli?
"Sì, obiettivamente. Non lo dico perché sono napoletana. Le stazioni sono diventate davvero un museo in cui vengono presentati lavori eseguiti da artisti di tutte le nazionalità. E' un esempio da seguire e credo che sulla scia della metropolitana nasceranno altri luoghi segnati dalla presenza dell'arte contemporanea".

Gli Incontri però si sono sempre mossi per mostre, dibattiti, convegni...
"Ma siamo coscienti dei cambiamenti e anche noi stiamo cambiando. Ci stiamo dedicando moltissimo all'archivio e abbiamo aperto la biblioteca ai giovani. L'interesse per quello che è accaduto nella seconda metà del Novecento è sempre più forte. Al contempo ritengo estremamente importante per un'associazione come la nostra assegnare il maggior numero di borse di studio. Ormai non c'è una sola nazionane ma l'Europa che si confronta con gli Stati Uniti e l'Oriente, ormai prepotentemente alla ribalta. I giovani artisti hanno bisogno di vedere il mondo perché soltanto nella battaglia, nel confronto, nel superarsi, viene fuori il meglio di noi stessi. Ho cercato di farlo da subito: a questa rassegna di Villa Medici è legata una borsa di studio in Francia dove mi auguro che vincitori possano trovare quella fantasia di cui l'arte ha bisogno".

Ha dei pentimenti, rifarebbe tutto?
"Nell'epoca in cui ci siamo mossi la nostra era avanguardia. Rifarei tutto. Oggi però tutto è cambiato. Le informazioni arrivano in tempo reale. Il mondo dell'arte è veramente multietnico e transnazionale. La situazione è diversa e diverso sarebbe il percorso degli Incontri".

La mostra di Villa Medici dunque chiude un'epoca.
"Non v'è dubbio anche se non vi è stato nulla di preordinato. L'invito è stata una sorpresa, inaspettato. Non nascondo che mi ha fatto piacere e mi ha emozionato. E' un mettersi in mostra... Fino ad oggi mi ero nascosta dietro gli Incontri . Oggi devo vincere questa mia ritrosia e far vedere il lavoro, far capire come e quante persone sono intervenute, quanto è stata importante la loro partecipazione. Indubbiamente si chiude un'epoca ma se ne apre un'altra, più moderna, più protesa verso il futuro, verso costruzioni stabili, permanenti".

Ma perché chiudere un'epoca con un omaggio francese e non italiano?
"Perché gli italiani sono sempre distratti. Chiamiamola distrazione".
(14 febbraio 2005)

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