martedì 25 giugno 2013

Ci sono insegnanti e insegnanti

Ci troviamo insomma e ancora una volta davanti a una situazione in cui l’inamovibilità di certi assunti viene proposta come soluzione al problema: sono gli studenti a doversi adeguare al livello delle prove; non i decisori a dover, viceversa, concepire e realizzare strategie e modalità che consentano di saggiare livelli di competenza senza imporre la frustrazione di prove al di là di ciò che la scuola fa e oltre ciò che essa può fare. Prima ancora: è del tutto negata (ferma restando la necessità che gli studenti maturino strategie culturali, attitudine alla ricerca, senso critico, conoscenze e competenze di livello altro) la necessità prioritaria di una revisione della scuola e della didattica – una vera “riforma”, finalmente, dopo tanti interventi chiamati così, ma svincolati da qualsiasi impianto pedagogico ed impatto formativo! – che consenta di rivedere anche strategie di insegnamento e modalità di valutazione, troppo spesso a loro volta velleitarie, inadeguate, anacronistiche.
La seconda tipologia della prova di Italiano continua però a presentare un livello di difficoltà notevolissimo: si propone la trattazione di un argomento in forma di saggio breve o di articolo di giornale, in diversi ambiti (artistico letterario; socio-economico; storico-politico; scientifico tecnologico). Attraverso l’ausilio di documenti allegati alla traccia, lo studente deve produrre un proprio testo autonomo, originale, coerente con la tipologia scelta, rispettandone le regole. Un genere testuale così complesso di per sé richiede competenze di scrittura che – se non vengono praticate, curate, nutrite – rischiano di trasformare la prova in un esercizio di sinossi dei testi proposti. Per non parlare del fatto che sarebbe interessante – a parti invertite – provare noi insegnanti a cimentarci con quelle prove «per vedere» – come cantava Enzo Jannacci – «di nascosto l’effetto che fa». [ | 24 giugno 2013]


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