venerdì 19 dicembre 2014

L'impastatrice

quando gira l’impastatrice – sabbia, ghiaia e cemento – nella piazza
scavata per le fondamenta due metri sotto il livello del piano stradale,
sopra la carne viva della città
          I had heard of Lucy Gray:
          And, when I crossed the wild,
          I chanced to see at break of day
          The solitary child.

          No mate, no comrade Lucy knew;
          She dwelt on a wide moor,
          --The sweetest thing that ever grew
          Beside a human door!
[ William Wordsworth, Lucy Gray ]





Se c’è un poeta che ha trovato subito la sua direzione, questo è Adriano Spatola. La sua carriera comincia nel ‘61 con Le pietre e gli dei, un libro molto giovanile, ma già orientato nelle sue scelte di poetica. Del ‘65 è l’Ebreo negro, e sarà il libro di un poeta nel pieno possesso dei propri mezzi. Dell’anno precedente è L’oblò, un divertimento romanzesco di gusto surreale. Seguiranno nel ‘71 Majakovskiiiiiiiij, nel ‘75 Diversi accorgimenti (con una presentazione di Luciano Anceschi), e nell’83 La piegatura del foglio.
(...)
Già abbiamo parlato della poesia metamorfica di Spatola.
Dobbiamo adesso chiarire in che cosa consiste la sua oggettività. Possiamo pensare per intanto alla pop art. Di fatto Spatola, sempre nello stesso intervento del ‘72, teorizza un rapporto con i nuovi linguaggi della quotidianità, che non sia né di evasione, né di complicità. E scrive poesie che possono essere dette pop. Leggiamone una (è la sezione 3 de Il boomerang, un componimento dell’Ebreo negro):
necropoli di dodge, di carriole, di tralicci sventrati, di rimorchi-giardino
nei quali tra la pioggia cresce l’erba
necropoli: tombe-macerie che l’autocarro scarica sulla riva del fiume,
tumuli-detriti che la piena corrode e porta al mare
quando gira l’impastatrice – sabbia, ghiaia e cemento – nella piazza
scavata per le fondamenta due metri sotto il livello del piano stradale,
sopra la carne viva della città
e nello scantinato la tomba di famiglia per macchine da scrivere, scaffali
fitti di urne sopra le quali polvere cade dai nuovi modelli
ma sotto la tettoia, nell’arca della fabbrica, necropoli di biciclette –
ciechi manubri, sellini
con rastrello-bulldozer che devasta negli orti le lattughe, sulla terrazza
gerani dentro il vaso calpestati dall’uomo dell’antenna
necropoli-ponteggi: visitarli nel tardo tramonto nel giorno dei morti,
dentro la nebbia, novembre, fari opachi, lapidi illeggibili
le date di N e di M si accendono e si spengono, variabile commossa
intensità
(...)
Guido Guglielmi
[«il verri», n. 4, 1991, recentemente ripreso in «il verri», n. 49, giugno 2012, pp. 104-110]

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