sabato 13 dicembre 2014

Un libro personale


Gio, 09/20/2012 - 13:16 | by editor

l'ing. Rodolfo WILCOCK Infine, per quel che riguarda gli effetti deleteri del pensiero disordinato, confesso che non riesco nemmeno a immaginare che cosa possa essere un pensiero ordinato. Forse un pensiero a forma di saggio? Di catalogo? O di sillogismo? C'è qui uno sbaglio di terminologia: probabilmente l'autore vuole soltanto accennare al più noto fenomeno comunemente detto "concentrazione dell'attenzione", di cui a volte si possono accertare gli effetti. Per quanto non si sappia che cos'è il pensiero, si sospetta in genere che cosa non è.


“Credo che se dovessi aiutare qualcuno a capire che sono o chi sono come scrittore - Wilcock scriverà di se stesso, rispondendo a un’intervista - rileverei due punti per me fondamentali: sono un poeta, appartengo alla cultura europea. Come poeta in prosa, discendo per non complicate vie da Flaubert, che generò Joyce e Kafka, che generarono noi (tutto ciò è da intendere allegoricamente, perché quelle persone rappresentano epoche, modi di pensare). ‘Flaubert fu il primo a consacrarsi alla creazione di un’opera puramente estetica in prosa’, scrisse Borges; e scrisse lo stesso Flaubert: ‘Le combinazioni della metrica si sono esaurite; non quelle della prosa’. Come scrittore europeo, ho scelto l’italiano per esprimermi perché è la lingua che più somiglia al latino (forse lo spagnolo è più somigliante, ma il pubblico di lingua spagnola è appena lo spettro di un fantasma). Un tempo tutta l’Europa parlava latino, oggi parla dialetti del latino: la passiflora in inglese si chiama passion-flower, per me le due sono la stessa parola. Quindi la lingua ha un’importanza relativa; quello che conta è di non cadere nel folclore, che è intrasferibile. Per me l’inglese è un po’ troppo folcloristico, ormai; che dire poi dell’inglese degli Stati Uniti, quando prende il volo per conto suo e si appiattisce in centoventicinque parole. È come se a un giocatore di scacchi gli dicessero: ‘Qui si gioca a modo nostro, con un solo cavallo e senza torri’. Beckett, forse non se ne accorge, ma scrive quasi in latino; il suo poema Sans, del ‘70, va più indietro nel tempo, sembra sumero, anzi pittografico”.

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