In tempi non sospetti l'insegnante di base Emma Castelnuovo si rivolge ai colleghi e scrive agli studenti (°) in tempi non sospetti. Scrive di cosa? Del libro che ha scritto per loro. Emma include il momento della ricerca didattica nel cuore del suo lavoro.
L'esperienza di Emma è stata marginalizzata nella scuola italiana innanzitutto dai suoi estimatori che l'hanno imitata invece di fare come lei, intanto. Poi perchè era una palese infrazione del sostanziale accordo tra le parti per cui la scuola è una concentrazione del campo, se si consente."la scuola è una concentrazione del campo", i coatti sono sequestrati nel loro stesso territorio in edifici appositi per "educarli" , edifici di stato o di congrega.
I paesi del socialismo reale (della dittatura ah ah del proletariato) avevano infatti il ministero dell'educazione, tipo segregarne 100 per educarne 100, mentre il nostro ministero dell'istruzione più modestamente delegava agli insegnanti il potere di istruire appunto i coatti, à la carte ovviamente.
Così gli individualisti della Persona come Emma venivano isolati senza corpo ferire: si lasciava loro di impazzare secondo l'estro, solo che...Emma era una rigorosa e appassionata insegnante del suo tempo. Rinunciava all'ovvia posizione dovuta al nome (lei una Castelnuovo ed una Enriquez) per scendere in strada ed entrare in una scuola di zona e mettersi al lavoro dopo l'interruzione involontaria della guerra e del fascismo (Sappiamo bene che aveva comunque continuato a cercare e ad insegnare semiclandestinamente).
D'altro canto la sua era una posizione ed un'esperienza a loro modo irrepetibili, come lo sono tutte le cose uniche o almeno rare. E quindi ci chiediamo che spazio possa esserci in una scuola pubblica statale di coatti in regime di democrazia liberale: chiudiamo il campo di concentramento e apriamo ad altri stati quantici? Arbeit macht frei, insomma?
Sì, lo credono in molti, e oltre l'ironia macabra involontaria dei nazi di fatto noi sappiamo che l'invocazione Arbeit macht frei è fatta propria dal mass media e dal massimo media soprattutto, la tivvù: datece er lavoro - altro che le bischerate del Cammelo Pene! che ciancia della schiavitù del lavoro...
Un percorso di formazione/lavoro, però, ce stà tutto alla Garbatelaa e oltre.
Ma, dico, lavoro di stato? Che poi la ggente intende come lavoro di status, e che l'altro lavoro se lo becchino rumeni e marocchini. Lavoro di qualità, ma pe' tutti. Per tutti?? Di riritto (e di rovescio) la question è tutta qui.
E dunque la Scuola.
Chissenefrega della scuola, vogliamo il titolo che ci dà lavoro, sicuro, e pure bello se si può. Titolisti tutti. Emma di questo, con la sua onestà, non si occupa da subito. Emma crede nella libertà e nella persona, non so se fosse comunista, ma certo degli Individui non parla mai, dice nomi e cognomi, è egoista, cerca l'interlocutore, lo guarda negli occhi. Che pace!
E in questo clima insegna alla media Tasso, tesse le sue laboriose giornate con chi ci sta, e le sue frequentazioni fanno il resto: nel saluto al tempietto ner ho senytito l'eco favolosa per me, le grandi sincerità amicali, brusche all'occorrenza e aperte ad altri. Quando ci lasciammo ad un primo appuntamento e si venne allo scambio dei riferimenti per continuare, lei come ovvio "Sono in elenco" disse, ed è detto tutto.
Eppure era ben consapevole dell'importante notorietà che l'accompagnava, del valore dei suoi studi, le era naturale la cultura. Senza filtri si affidava alle pratiche democratiche che nel nostro dopoguerra, pur nelle difficoltà che sappiamo della sperimentazione, hanno sempre segnato il mondo della scuola. Nel libro di aritmetica (°°) che presenta ai colleghi lo ricorda come un'evoluzione insita nelle cose e i favolosi anni sessanta ne confermeranno lo spirito di una società che si apre al benessere e ai problemi che ora è possibile affrontare più compiutamente.
Emma a mio vedere era isolata paradossalmente, le sue prove erano sotto gli occhi di tutti ma pochissimi guardavano in quella direzione; Emma, è chiaro, era una maestra maestro nel suo campo e la sua era scuola di vita; maestro di mestiere come aveva scelto d'essere, esercitava il magistero nella sua necessità, per questo il suo lavoro ci parlava anche dopo aver tanto detto nei decenni ormai.
Quando si è perso il filo? Quando lei lascia la scuola siamo alla fine dei pessimi anni settanta, deludenti le loro promesse. Il convegno all'Accademia dei lincei che la saluta è nel mio ricordo il momento più alto e possibile.
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